FRANCESCA PEDDONI | Gian Piero Reverberi è un musicista, un compositore e un direttore d’orchestra, il suo mondo è la musica, si potrebbe pensare, ma…
Gli schizzi di colore sulle tele, il gesto che è diventato ormai un simbolo di protesta e la materia, libera ed espressiva; sono questi gli elementi che raccontano la storia di una stagione informale, di un periodo difficile per tutti quegli artisti, europei, americani e giapponesi, provati da una guerra (la seconda mondiale) che ha lasciato più vinti che vincitori, in una collezione che mai prima d’ora era stata esposta al pubblico: la collezione Reverberi, in mostra ad Aosta al Museo archeologico regionale fino al 26 ottobre 2014.
Si, perché Gian Piero Reverberi è un musicista, un compositore e un direttore d’orchestra, il suo mondo è la musica, ma non solo; a metà degli anni 80’ compra la sua prima opera d’arte, per un motivo molto semplice, arredare. Da questa prima opera in poi scaturisce una collezione per motivi, se vogliamo ancora più banali dell’arredare, come dice lui stesso: “Ho realizzato che era l’unico movimento che capivo. Un’arte istintiva che interpretavo e sentivo senza bisogno dei consigli degli altri. Scegliendo l’arte informale, ho scongiurato in un solo colpo questi due pericoli: non rappresenta nessun soggetto riconoscibile e la tecnica viene spesso etichettata con un classico “potrei farlo anch’io”.
Partendo da questo presupposto le 90 opere scelte dai curatori (Beatrice Buscaroli e Bruno Bandini) si snodano nelle chiare sale del museo con il fine di mostrare nella diversità di stili un’unicità d’intenti degli artisti sia europei che internazionali.
Opere che non stupisce abbiano stregato Reverberi perché, come nella musica, c’è il rispetto delle regole e il loro superamento: opere pittoriche, quasi tutte incorniciate su supporti “classici” ma che parlano un linguaggio che con la pittura tradizionale ha poco a che fare. La protesta, quella di Hartung per gli inevitabili esiti della seconda guerra mondiale, quella di Vedova che sfocerà in violenza dei neri e dei grigi sulla tela. Il culmine pittorico però è raggiunto nella terza sala, in cui spicca un capolavoro di Kazuo Shiraga (tra i fondatori del gruppo Gutai) e la meraviglia è immensa. La forza del colore è travolgente, il rosso forte e violento vibra sulla tela procurando una ferita che è frutto di un gesto indomabile e inevitabile. Il fondo bianco ne converge e ne esalta la luminosità. Con la forza, la potenza della materia e del colore il visitatore diventa uno spettatore inizialmente inconsapevole di un gesto che si mostra già compiuto ma per chi ammira incantato pare avvenuto in quello stesso istante. E non è un caso se lo stesso Reverberi ammetta: “l’olio di Shiraga è il mio quadro preferito, andai a Parigi apposta. E’ il quadro che ho scelto in maniera più determinata e volontaria” .
Dopo la mostra del 2013 su Renato Guttuso e il realismo della seconda parte del 900’ ecco un’altra analisi molto ben riuscita dello stesso periodo dell’informale del museo valdostano, molto bella la collezione e tanti i protagonisti che con le loro opere hanno arricchito uno spaccato importante storia del contemporaneo.