VINCENZO SARDELLI | Quali sono le dinamiche che assoggettano il Sud al Nord del mondo? Sono i giochi politici o è l’economia a definire gli assetti del pianeta? E sul piano personale, che cosa saremmo disposti a cedere pur di assicurarci un benessere effimero?
È un format interessante Harvest, spettacolo di Teatro MA & Compagnia Delle Furie che era stato già presentato in forma di studio al Piccolo Teatro nel Festival Internazionale Tramedautore 2013. In forma rifinita la pièce, drammaturgia e regia di Matteo Salimbeni e Fulvio Vanacore (con Cecilia Campani, Giacomo Marettelli Priorelli, Michele Mariniello, Beppe Salmetti e Carla Stara) ha debuttato nei giorni scorsi allo spazio Tertulliano di Milano.
Harvest – Quanto costa un uomo al chilo? di Manjula Padmanabhan, traduzione di Alice Spisa, è la storia di Om Prakash. Om è un indiano che vive in un appartamento fatiscente con la moglie, la madre e il fratello. La sua casa è in un condominio-ghetto. I servizi sono putride latrine in comune. Poco cibo, molta miseria. Om non lavora. Il fratello si prostituisce. Un giorno il benessere arriva imprevisto. L’InterPlanta Services, fantasmagorica struttura professionale di raccordo fra primo e terzo mondo, ha selezionato Om per un trattamento. Il castrante ménage familiare viene ribaltato. La miseria lascia il posto a bagno interno e TV satellitare, comodi divani e cibi multivitaminici. A Om viene chiesto solo di mantenersi in forma fisica e preservare il buonumore.
Uno spettacolo futurista sulla compravendita d’organi. Il conformismo global ha gli aspetti autoritari e oppressivi di un Grande Fratello orwelliano. Attraverso uno schermo, infatti, l’InterPlanta Services controlla ogni movimento in casa Prakash.
Harvest denuncia un Nord del mondo luccicante e ipocrita, ammiccante e cinico. Ma condanna altresì lo strapotere del dio denaro, che trasforma i rapporti anche tra i poveri. I comfort inquinano i sentimenti tra consanguinei, partendo dall’anziana madre (interpretata da un istrionico Beppe Salmetti) disposta a barattare il cuore di mamma con mamma TV.
In questa messinscena che mescola teatro d’attore e audiodramma, con casse, amplificatori e consolle a vista sul palco, emergono le qualità di un copione ritmato e vivace. Solo l’ultima parte ha delle angolosità da levigare: alcuni passaggi drammaturgici sono dati per scontati, montati in modo sbrigativo. Giocata sul registro burlesco, la regia fa uso di iperboli e ribaltamenti comici che smorzano i contenuti cruenti. Alla riuscita narrativa concorrono gli effetti sonori fuoricampo, atmosfere da night ed escursioni noir. E un linguaggio paradossale, allusivo, che scivola sarcasticamente nell’inflessione lombardo-veneta.
Gli attori sono bravi ad animare le perversioni di questa singolare umanità disperata, alla ricerca di un’occasione che ne accresca le tasche: individualisti che speculano sulle disgrazie altrui; una vecchia in cerca di un’identità che la aiuti ad ammazzare il tempo prima che il tempo ammazzi lei; sprovveduti che vendono il proprio corpo in cambio di un benessere materiale fittizio. È un mondo caotico, dove aleggiano macchiette sgraziate dall’incedere nevrotico.
Una performance scanzonata, dissacrante. Il pensiero soffoca, muore. La libertà entra in un vicolo cieco. La vita stessa non ha più vie per esprimersi.