RENZO FRANCABANDERA | Arriva alle battute finali, ma anche quest’anno ha saputo guadagnarsi un seguito di pubblico, critica e riferimenti internazionali di primo piano. Parliamo di Teatro a Corte, festival piemontese con un suo specifico assai particolare, svolgendosi per gran parte nelle meravigliose ambientazioni delle dimore sabaude. Da anni la proposta di questa rassegna è un mélange di teatro-danza-arti performative e nouveau cinque che non ha eguali in Italia e che propone agli spettatori uno sguardo originalissimo sulle evoluzioni meno tradizionali dei linguaggi scenici. Lontano da roboanti tromboni della prosa, dai soliti nomi noti e dall’asfittico giro fatto dei soliti quattro-cinque registi-star internazionali che approdano in Italia, il Festival ogni anno stringe un legame con una nazione diversa e in una logica di valorizzazione reciproca del patrimonio di conoscenze e di proposte eterodosse, ospita il meglio delle nuove proposte dell’arte performativa.
Quest’anno è toccato alla penisola scandinava, una macro-regione che da alcuni anni sta portando avanti, con esperienze diverse e declinazioni peculiari, un ragionamento che potrebbe definirsi finanche d’avanguardia sulle forme del teatro-danza che si legano alla fisicità dell’arte circense.
Per molti il termine circo evoca ancora una forma spettacolare stereotipata e obsoleta, mentre per altri versi l’estrema spettacolarizzazione di esperimenti consolidati come Le Cirque du Soleil, hanno spinto il tutto verso una forma più commerciale e adatta a palcoscenici istituzionali, con un pubblico sempre più numeroso. Non è un caso se il Piccolo teatro di Milano da diversi anni ospita lo Slava Snow Show, o i lavori di Finzi Pasca siano sempre più presenti nei cartelloni.
Ma ancora non ci siamo. Perché Teatro a Corte non è niente di tutto questo. E’ un’intersezione assai raffinata, a suo modo esclusiva, di un linguaggio certamente non facile, molto di confine, e sul quale mancano forse anche adeguate competenze e conoscenze per la stampa che deve raccontarle: la nuova clownerie, l’acrobazia che si fa danza e intervento performativo nello spazio metropolitano, il physical theatre fra drammaturgia del corpo e linguaggio non verbale.
Come riuscire dunque a raccontare senza abdicare a quel germe di stupore quasi infantile che comunque questo codice deve mantenere e per certi versi finanche ricercare, e la necessità, almeno per chi scrive, che la proposta artistica mantenga una sua integrità formale che la renda assoluta, limpida, necessaria in ogni sua componente, senza fare troppo l’occhiolino allo spettatore, ovvero che sappia stupire con discrezione ed eleganza senza che il gesto fisico venga accompagnato dal classico rullo di tamburo che per anni ha raccontato la prodezza circense?
Alcune risposte è possibile averle ancora per qualche ora in Piemonte per gli ultimi appuntamenti della rassegna che chiude questo fine settimana, e che abbiamo incrociato nella prima delle tre settimane di festival.
Siamo passati, fra il 17 e il 18 luglio dal circo più coreografico dei francesi Bistaki (a Venaria), alle principali compagnie finlandesi, fino a quello più clownesco ma contemporaneo di Thomas Monckton, ma siamo rimasti colpiti anche e forse più dai video di circo contemporaneo realizzati da Circo Aereo, di cui uno coprodotto dal festival, ambientato a Torino e nei castelli. Colpiti perché raccontare il gesto circense in questa declinazione contemporanea non è affatto facile nella forma filmica, mentre i due video proiettati al Teatro Astra davvero segnano un passo discontinuo, riescono ad essere onirici e non insistiti, leggeri e mai ripetitivi, qualità che le due proposte spettacolari di Monckton alle quali fanno da intervallo per certi versi un po’ mancano.
Suggestiva anche la perfomance del danzatore finlandese Ima Iduozee, This is the title. Racconta un’idea della corporeità molto fotografica, che riporta agli occhi memorie da Mapplethorpe, fra esibizione e riflessione, ostentazione e respiro. Manca qui forse lo slancio verso l’ulteriore e lo spettacolo si chiude un po’ su se stesso.
Una sensazione che per certi versi lascia la proposta surreale e visionaria dei francesi Collectif G. Bistaki con Cooperatzia/Maison spettacolo di “circo coreografico di ricerca” in cui tegole dei tetti e borsette fanno da domino emotivo, attivando visioni e quadri viventi che, come la compagnia spiega a fine spettacolo, dovrebbero essere concepiti in una dimensione itinerante e non unitaria che qui invece, complice la coercizione scenica cui il palcoscenico allestito a Venaria Reale li forza, non può suggestionare il pubblico in forma più discontinua. E così lo spettatore cerca una sorta di unità drammaturgica, un senso logico di fondo che non arriva. Un intento forse voluto, ma che in realtà è a nostro avviso un vulnus anche ove la performance non avesse avuto quella unità spaziale, che invece esalta proprio per questo motivo l’esilità di alcuni passaggi.
E’ indubbio che altri siano di particolare lirismo e portino lo spettatore in quella dimensione sognante e particolarissima di cui abbiamo parlato, ma è una dimensione che a volte è possibile raggiungere con molto meno, con pochissimo, a volte con una cuffia auricolare e pochi oggetti di uso quotidiano. Lo dimostrano a Teatro a Corte da diversi anni i creativi bergamaschi de La Voce delle Cose, che accolgono gli spettatori fuori da Venaria con una proposta davvero originalissima di narrazione con oggetti semplici, in cui lo spettatore è artefice vero del mistero del teatro, e la fiaba diventa metafora dell’assenza e gioco di manipolazione. E’ questa una ricchezza indimenticabile che chiunque abbia provato anche solo una volta la proposta di questi notevolissimi artisti non può che voler riprovare. E’ possibile farlo ancora in questo week end, a margine degli spettacoli del festival ancora in programma, magari consultandolo su www.teatroacorte.it