GIULIA MURONI | Delle sagome di legno, figure di mostri nella mai sepolta psiche infantile, fanno da sfondo al duo che sulla scena entra e esce da una parete in tulle, confine del luogo schizofrenico di dialogo terapeutico e liti simil-amorose. Troni in legno il cui schienale è una ghigliottina aiutano a comporre uno scenario dalle più facce, dove luci e ombre convivono e, nel loro alternarsi, mostrano e celano la paradossale e schiettamente ridicola compresenza dei numerosi aspetti del reale.
Interrogandosi a partire da “Il libro sul riso e sull’oblio” di Kundera sulla portata del riso, come latore di senso o al contrario distruttore dello stesso, Maniaci d’Amore, guidati dalla regia di Filippo Renda nella trasposizione di una drammaturgia di loro pugno, propone “Morsi a vuoto”. Prima assoluta all’interno del cartellone del Festival delle Colline Torinesi, lo spettacolo vede in scena i due autori-attori, Francesco Maniaci e Luciana d’Amore, che intavolano un dialogo fittissimo intorno ai dubbi, le paranoie e le incontrollabili risate di lei. Mentre lui impersona tre personaggi differenti, i cui confini talvolta si dilatano e assottigliano, perché in fondo siamo tutti un po’ di tutto, lei invece è sempre sé stessa, immersa nella vischiosa coltre di insicurezze di chi non riesce mai a prendersi sul serio. Simona, la protagonista, infatti ride sempre perché non ha niente da ridere: così recita il comunicato stampa e in questa frase è racchiusa la tragicità della perdita di senso, della reazione che non corrisponde a nessuna azione, ma vaga in un indistinto senza colore in cui non c’è più bene e male, giusto o sbagliato e il rischio è di affogare, di sentire la testa che gira e non focalizzare una strada. Altrimenti, come fa Simona, si può ridere della morte di Dio, della caduta di qualsivoglia orizzonte di senso, e procedere navigando a vista, in superficie, sghignazzando delle proprie e delle altrui miserie.
I personaggi ritratti sono creature irrimediabilmente moderne, nate da uno sguardo attento e ironico sulle peculiari deformità dei giorni nostri. Qualche lungaggine e un esplicito rimando a una performance di Marina Abramovic che tende a sbiadire il finale, sono elementi di difficoltà all’interno di un quadro brillante, amaro e pungente che conferma la compagnia come giovane fucina creativa.
Abbiamo chiacchierato con loro dopo la seconda replica di “Morsi a Vuoto”. Di seguito il link al nostro video reportage