LAURA NOVELLI | “Oggi qui c’è un sole bellissimo. Il posto è molto carino e l’atmosfera accogliente. E’ la prima volta che partecipo al Festival Orizzonti di Chiusi e ne sono felice”. Rubando qualche minuto alle preziose prove che precedono l’imminenza di un debutto, Andrea Adriatico – regista, giornalista, architetto, cineasta e direttore artistico di Teatri di Vita – non nasconde il suo entusiasmo e la sua ammirazione per il teatro di Elfriede Jelinek, nota scrittrice austriaca premio Nobel nel 2004 alla cui produzione drammaturgica la realtà bolognese dedica quest’anno ben tre lavori. Dopo Delirio di una TRANS populista (interprete Eva Robin’s), debuttato a fine giugno in seno al festival Cuore di Brasile (e che vedremo al teatro India di Roma a settembre nell’ambito di Short Theatre 2014), è ora la volta di un secondo allestimento, Jackie e le altre (dal testo Jackie del 2010) il cui battesimo è previsto a Chiusi in questi giorni (nel cast figurano Anna Amadori, Olga Durano, Eva Robin’s e Selvaggia Tegon Giacoppo) e che, già prenotato in diverse piazze per la prossima stagione, anticipa il terzo movimento del trittico, Un pezzo per Sport.
Da cosa nasce questo profondo interesse per la scrittura di Elfriede Jelinek?
“Sono innamorato di questa autrice assai poco rappresentata da noi soprattutto per la complessità linguistica della sua drammaturgia. Una drammaturgia calata totalmente nella cultura mitteleuropea e ben consapevole della tradizione epica che ha alle spalle ma che, nello stesso tempo, riesce a leggere con estrema lucidità il contemporaneo. Questo è ciò che davvero mi interessa: la visione chiara e originale di un teatro politico che sappia interpretare le emozioni sociali”.
Questi elementi di cui parli come si ritrovano in Jackie e le altre?
“Nel suo Jackie la scrittrice austriaca propone una rilettura del mito di Jackie Onassis dove, senza trascurare gli elementi storici, ricostruisce il tracciato di una donna contemporanea che ha fatto un rivoluzionario percorso di appropriazione della propria identità. La Jelinek ci consegna un lungo monologo pieno di spunti strepitosi: un testamento dove la first lady passa in rassegna la propria vita soffermandosi sulla differenza tra carnalità e mistero e facendoci capire come attraverso la moda, gli abiti, ella si sia appropriata della propria funzionalità femminile. Nel mio lavoro ho attivato un meccanismo di moltiplicazione per cui in scena ci sono quattro attrici che moltiplicano il mito stesso di Jackie; attraverso la ripetizione credo possano emergere meglio tutte le tensioni sociali e culturali che il testo sottende”.
Di quali tensioni sociali, culturali e politiche ci racconta invece il primo lavoro del Progetto Jelinek, Delirio di una Trans populista?
“Qui c’è un chiaro riferimento alla figura di Jörg Haider, ex-governatore della Carinzia noto per la sua omosessualità sul filo della pedofilia, e c’è soprattutto un comizio in cui si ritrovano tutti i tratti peggiori dell’Europa contemporanea, tutti i meccanismi perversi dei discorsi autoreferenziali: ho detto IO tutto il tempo, recita una battuta. Si parla di uomo-massa, di emozione privata-emozione condivisa, di consenso. Nello spettacolo il comizio è affidato al personaggio di una trans e dunque diventa ancora una volta terreno di appropriazione di identità, cosa che di fatto esiste anche nel testo”.
Lavori con Eva Robin’s dal ’93, dai tempi de La voce umana di Cocteau: cosa c’è alla base di questo felice sodalizio artistico?
“Non sono uno che sente di avere una compagnia. Forse perché faccio cose diverse non ho il concetto del gruppo. Con Eva credo che si sia stabilito un rapporto di fiducia soprattutto perché è una bravissima attrice, e le recensioni lo confermano. Il linguaggio della Jelinek, ad esempio, le calza alla perfezione, soprattutto quando è ironico e c’è da dire che in Jackie e le altre poi la sua presenza rimanda proprio all’idea di essere attraverso l’abito, attraverso l’involucro”.
In autunno debutterà anche la terza produzione dedicata alla Jelinek di cui firmi ancora la regia. Cosa ci puoi anticipare?
“Un pezzo per Sport si ispira alla pièce Sport – Un pezzo che è stata rappresentata una sola volta a Vienna in una allestimento spettacolare. Il tema di questo lavoro è la massa ossessionata dal culto del corpo e dell’immagine. Ma si tratta soprattutto di un testo incredibile: sulla carta risulta quasi illeggibile, ostico, ma scomponendolo si scoprono quali sensibilità e genialità ci siano dietro. La Jelinek (alla cui produzione teatrale l’Emilia Romagna, a dicembre, dedicherà un’ampia rassegna, il Focus Festival Jelinek diretto da Elena Di Gioia, ndr) non è paragonabile a nessuna altro autore e mi piace perché non dà asserzioni bensì punti di vista. Ci dice semplicemente: io penso questo”.