GIULIA RANDONE | Una donna bionda, scalza, con indosso solo un golfino nero, parla concitata al telefono – “Sì, sì, vieni. Vieni il prima possibile. Aspetto”. Mette giù la cornetta e conquista il centro della scena ripetendo a se stessa – “Aspetto. Aspetto. Aspetto”. In mano ha un telecomando, lo punta verso la platea – “Ok. Così sia” – e preme un pulsante. Sulla parete alle sue spalle si proietta la ripresa video di ciò che lo spettatore vede accadere sul palcoscenico.
Inizia così Persona. Marilyn, spettacolo che inaugura il progetto che il regista polacco Krystian Lupa dedica a “tre icone senza le quali il ventesimo secolo sarebbe più povero”: la diva Marilyn Monroe, la filosofa Simone Weil e il maestro di danze George Gurdjieff.
Entrando in uno degli edifici che compongono il monumentale Palazzo della cultura, dono di Stalin agli abitanti di Varsavia, prendiamo posto nel buio di una delle sale del Teatro Drammatico, che nel 2009 ha tenuto a battesimo la “fantasia teatrale” ispirata alla Monroe e da allora la ripropone regolarmente in cartellone.
Fin dalle prime battute la voce della protagonista seduce e respinge: sottile, capricciosa, sempre incerta ma penetrante, a tratti si incanta, rimane sospesa come a catturare l’attenzione, per poi riprendere con maggiore urgenza un pensiero lasciato indietro, una citazione, un ricordo doloroso. È il timbro caratteristico dell’attrice Sandra Korzeniak ed è il canale nel quale si immette il suo viaggio all’interno della persona (nell’accezione data da Carl Gustav Jung di ruolo sociale) di Marilyn Monroe.
Rifugiatasi in cerca di solitudine in un ex studio fotografico occupato da un grande tavolo cosparso di oggetti, Marilyn è continuamente contesa da personaggi che reclamano un contatto e un diritto su di lei. Per il giovane custode del loft la donna è il coronamento del sogno erotico, per lo psicanalista Ralph Greenson una paziente da condurre con ogni mezzo sulla giusta via, per l’amico fotografo André un soggetto da circoscrivere ed eternare in uno scatto, per l’attrice Paula Strasberg un’allieva che dimentica di essere “più importante di Cristo” e mortifica la propria eccezionalità nell’abuso di alcool e sesso. Marilyn sogna di interpretare il ruolo di Grušenka nei Fratelli Karamazov, ossessivamente pensa a lei e ripete le sue battute, confidando che il luogo in cui si è nascosta le permetta di capire intimamente il personaggio che tanto la affascina. La Strasberg non comprende la ricerca dell’allieva, corregge la sua interpretazione giudicandola troppo fragile e incoerente rispetto alla forza dell’anima russa incarnata dall’eroina dostoevskiana. Sulle note di un’impetuosa musica operistica di ispirazione slava, l’acting coach trascina la discepola in una danza che dovrebbe convincerla a impadronirsi del personaggio per celebrarne la grandezza.
Marilyn, tuttavia, le oppone resistenza. Non è il potere che cerca. Beve, si trucca le labbra “per avere meno paura”, seduce e si ritrae, vaga insonne e si assopisce, parla a lungo, forse per riuscire a pensare, “perché non ci sia un’interruzione nel pensiero, che è come la morte”, si veste e si denuda. Fa ciò che ci aspettiamo che faccia Marilyn Monroe – si offre allo sguardo altrui – e la sua immagine si moltiplica attraverso il riflesso di uno specchio, l’istantanea del fotografo riprodotta in tempo reale su una parete o la registrazione dal vivo che fa da sfondo a gran parte dello spettacolo.
Questa sovraesposizione non mira a persuaderci che l’attrice Korzeniak stia interpretando in maniera convincente il ruolo della diva hollywoodiana, al contrario ripulisce lo sguardo dal binomio attore-personaggio per rilanciare il mistero dell’incontro e della compenetrazione tra più storie umane. Nella scena finale il palco si popola di una decina di figuranti: qualcuno copre il tavolo con un lenzuolo e aiuta Marilyn/Korzeniak a sdraiarsi, qualcun altro si appropria della telecamera e inizia a filmare la platea. Con un certo disagio ci troviamo adesso a osservare noi stessi su quella medesima parete in cui, nelle tre ore precedenti, abbiamo guardato il corpo dell’attrice.
Quel corpo che ora, in video, prende fuoco, prima di venire riconsegnato al buio.