LAURA NOVELLI | Cercando un’immagine, una metafora calzante che accompagnasse la scelta di investigare, ancora una volta e oggi in modo più necessario che mai, i linguaggi della scena contemporanea, Roberta Nicolai l’ha rintracciata nella Botanica, per la precisione in una Lista rossa della flora italiana pubblicata dal Ministero dell’Ambiente in cui si elencano piante e fiori in via d’estinzione per i quali, proprio come per lo spettacolo dal vivo, occorre attivare efficaci misure protettive e – tanto più – forme concrete di cura.
Ecco dunque l’ottava edizione del Festival romano Teatri di Vetro, diretto dalla stessa Nicolai e organizzato da Tringolo Scaleno Teatro, strutturarsi intorno a questa idea centrale della specie protetta e proporre, quest’anno, un nucleo di titoli in parte già rodati e di artisti già noti (eventi in scaletta fino al 23 settembre) capaci di raccontare in modo emblematico le ultime generazioni della nostra scena. Tra le realtà teatrali presenti in scaletta figurano, ad esempio, Menoventi (L’uomo della sabbia), Clinica Mammut (Il sordo rumore delle dita), Punta Corsare (Il Convegno), Civilleri/Lo Sicco (Tandem), Opera (XX, XY primo studio sulla tragedia di Amleto), Amendola/Malorni (L’uomo nel diluvio), Le viedelfool (Luna Park, do you want a cracker?), Fibre Parallele (Lo splendore dei supplizi), Carrozzeria Orfeo (Thanks for vasellina).
“Ci è sembrato che quanto scritto nella prefazione alla Lista rossa – spiega la direttrice artistica della vetrina – evocasse una metafora perfetta della situazione della scena contemporanea, cioè di due ma anche di tre generazioni di artisti che sono a rischio di sopravvivenza, proprio come certi fiori e certe piante. Inoltre, mi ha particolarmente stupito il fatto che nel documento ministeriale si parlasse esplicitamente di flora mediterranea. In effetti, confrontando la nostra realtà con quella di altri Paesi europei, mi rendo conto di quale gap enorme ci separi dai modelli culturali stranieri, soprattutto in termini di strumenti, mezzi, luoghi. In Italia mancano spazi di progettualità; non intendo dire edifici, ma case degli artisti che possano essere punti di riferimento per loro e per il pubblico. Bisogna capire che la precarizzazione del nostro sistema produttivo non solo non rispetta gli artisti, non li rende cittadini, ma ricade anche sugli spettatori”.
Tanto più che questa edizione 2014 della rassegna (www.teatridivetro.it) nasce proprio all’insegna di un trasloco: dai consueti Teatro Palladium e quartiere Garbatella la ricerca di luoghi e di spazi per ospitare la creatività si sposta per lo più a Monteverde, trovando nel teatro Vascello e nel Teatro Scuderie Villino Corsini (con incursioni pure alla Fondazione Volume, alle Corrozzerie n.o.t. e al Moll Living Lab) nuovi approdi tutti da sperimentare. Una novità certamente significativa “che ha comportato un modo diverso di ubicare gli spettacoli e alla quale si connette poi un nuovo modo di concepire e strutturare il festival. Per la prima volta, non ho fatto un avviso pubblico come nelle precedenti edizioni. Di solito visionavo una quantità considerevole di materiali e per anni mi sono dedicata a una visione bulimica di quanto ci veniva proposto, stratificando una profonda conoscenza della scena contemporanea; quest’anno invece, proprio come nei traslochi in cui non si può portare tutto, ho selezionato ciò che mi è parso necessario e ciò che nel tempo ho seguito più da vicino, anche per verificare a che punto di ricerca questi artisti siano arrivati. Mi sono assunta la responsabilità di certe scelte e ho superato la logica del debutto a tutti i costi”.
Ciò non riguarda ovviamente solo il teatro ma anche linguaggi come la musica, la performance, la danza e risulta difficile sintetizzare le differenti estetiche espresse dagli artisti invitati a partecipare. “Non posso sintetizzare che tipo di ricerca e di estetica venga fuori. E’ vero che la nostra epoca cerca proprio la sintesi, ma io rivendico l’opposto. Piuttosto, mi preme dire che, al di là del linguaggio specifico, in ognuna delle proposte in cartellone trovo uno scarto, qualcosa che non vuole e non può esaurirsi sul palcoscenico, che lascia un resto in potenza, che apre una possibilità di crescita per il pubblico. Ognuno di questi gruppi impegna il palcoscenico in modo diverso: in molti il teatro è un campo di indagine sul teatro stesso, in altri tale tipo di curiosità non esiste assolutamente. Ma la vera ricchezza di Teatri di Vetro (collegato, tra l’altro, a reti nazionali come Network drammaturgia nuova e Inbox, ndr) sta proprio nella voglia di mettere insieme una lista di ricchezze apparentemente incompatibili che lavorino tutte per lo stesso obiettivo: indagare cosa significhi il contemporaneo. E indagare non significa dare risposte”.
Dare risposte no, ma guardare al passato certamente sì: all’interno del festival prendono vita dei momenti di incontro incorniciati dall’ossimoro Effimero/permanente e curati da Graziano Graziani (per il teatro) e da Anna Lea Antolini (per la danza) che nascono come riflessione sulla scena di ieri al fine di leggerla come punto di partenza per i gruppi più giovani. La scelta è caduta su Danio Manfredini e Virginio Sieni, due grandi artisti il cui lavoro dovrebbe tradursi in eredità permanente per chiunque oggi decida di fare l’artista. “Questo sguardo rivolto indietro nel tempo – conclude Roberta Nicolai (anche presidente di C.Re.S.Co.) – lo considero cruciale. Non è un caso che all’interno dell’appuntamento con Manfredini abbiamo deciso di presentare venti minuti di Al presente, uno spettacolo di sedici anni fa che tutte le ultime generazioni di teatranti dovrebbero conoscere profondamente. Purtroppo però in Italia la tappe tra generazioni artistiche diverse sono spesso in opposizione; non c’è trasmissione né rottura di una passato perché non lo si conosce, non lo si eredita. Credo sia un punto dolente della nostra scena contemporanea: in molti casi si cerca di operare un tradimento privo in realtà di qualcosa da tradire”.