GIULIA MURONI| Le ballerine di Cadice, il grido strozzato della seguiriya di Silverio, le ginocchia dipinte da Goya, Pastora Pavòn dopo un sorso generoso di acquavite. E più di tutti Santa Teresa di Avila. Questi i luoghi in cui si annida il duende.
Teoria e gioco del duende è il titolo di una conferenza tenuta da Federico Garcia Lorca nel 1934. A partire da un proposito piuttosto ambizioso, dare una lezione sullo spirito occulto della dolorosa Spagna, l’autore mette a fuoco quelle personalità spagnole che hanno mostrato di essere caratterizzate dal duende. Attraverso questi exempla c’è il tentativo, che non aspira in alcun modo ad essere analitico né esaustivo, di fornire un quadro tanto vago quanto suggestivo del duende. Erede del daimon socratico, Goethe lo definì: «Potere misterioso che tutti sentono e che nessun filosofo spiega». Entità dai contorni metafisici, sorta di nietzscheano spirito dionisiaco con il quale si deve fare i conti, un riferimento conflittuale che irrompe, prosciuga il sangue, respinge le dolci geometrie apprese e rompe gli stili. Da questo sconquassamento emerge un genio imprevisto, la possibilità concreta di superare le tecniche e penetrare nella trama oscura degli intricati sentieri dell’emotività.
Dolores Lago Azqueta, compagnia Cie Oiseaux Migrants (Spagna-Francia), ha portato in scena “Teoria e gioco del duende” nella chiesa di Santa Croce ad Avigliana. Spettacolo concepito per essere rappresentato in luoghi piccoli, risponde all’aspirazione di un ritorno all’essenziale del processo teatrale: la comunicazione. L’interprete infatti si rivolge direttamente al pubblico e racconta il duende attraverso il registro poetico di Garcia Lorca. Tutto nella scena è funzionale a rendere la narrazione il più chiara possibile: i libri presenti servono a sviscerare le citazioni del testo, così da mostrare al pubblico quei casi, citati da Lorca, in cui è forte la presenza del duende: nel giallo burro e nel giallo fulmine dei dipinti del Greco, nelle teste gelate tratteggiate da Zurbaràn, nell’abside della chiesa di El Escorial. Parimenti i volti di alcuni, tra i quali Nietzsche e lo stesso Garcia Lorca, sono ritratti in alcune cartoline che l’attrice esibisce e appunta su un leggio in bella vista. Alcune brevi incursioni sonore, a cura di Mario Tomás López, contribuiscono anch’esse a sottolineare l’atmosfera prodotta dal timbro magnetico di Dolores Azqueta.
Lei, vestita di rosso e nero, è avvolta in uno scialle color porpora che si dispiega al muoversi elegante e concitato delle braccia. Le mani disegnano arabeschi e saette, impegnate a mostrare, a spiegare, accompagnare verso una suggestione. La postura, lievemente rivolta verso l’interno, non inficia l’atteggiamento fiero e il volto aperto e disponibile al fluire sincero delle emozioni. Attrice di temperamento, nella sua voce scorrono i caratteri di una passionalità genuina, al servizio del desiderio di un teatro in grado di imprimere al pubblico un quesito, un tentativo di profondità. D’altronde il tema scelto si presta ad un atteggiamento di ricerca: il termine duende ha equivalenti in tante culture ma poche traduzioni puntuali, eppure tutti coloro che hanno provato a vagheggiarne l’idea sono riusciti a formarsene un’immagine più o meno costante. Il duende, come lotta per la comunicazione dell’espressione, nel linguaggio poetico si fa carico di caratteri mortali. Per questo si trova facilmente in Spagna, paese in cui, di fronte alle manifestazioni della morte, piuttosto che chiudere le tende stretti in un dolore privato, si spalancano le porte, in un atteggiamento disponibile all’attraversamento pubblico della sofferenza. Il duende è in una posizione liminale, ama il bordo della ferita, cavalca l’abisso come anelito superiore alle sue espressioni visibili. È ineffabile, non si ripete, come non si ripete la forma del mare in burrasca.
Spettacolo sincero e dalle tinte delicate e suggestive, forse potrebbe osare un ulteriore salto immaginifico per dare più respiro all’assetto didascalico e posizionarsi in una chiara tensione poetica.
Seconda parte della prima serata, è un buon inizio per la seconda edizione del festival Primavera d’Europa a cura della Piccola Compagnia della Magnolia, a partire dall’esperienza francese del Festival Printemps d’Europe. Anche qui l’obiettivo è ben focalizzato: promuovere il teatro contemporaneo attraverso un circuito europeo, in un’ottica di condivisione e abbattimento degli steccati culturali. D’altronde, per giungere ad una definizione del sé che non sia monolitica, è necessario aprire al confronto con l’alterità, in un’ottica dialogica di costruzione.
Paneacqua testimonierà, come media partner, dei prossimi spettacoli di Primavera d’Europa/02: tra le compagnie italiane Bottega Bombardini, Piccola Compagnia della Magnolia e Macelleria Ettore e, tra quelle estere, Live Art Society (Finlandia), Sandman (Belgio) Teatr Nowy (Polonia) e Cie Oiseaux Migrants (Spagna/Francia).
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Jeu et théorie du Duende – Federico García… di oiseauxmigrants