SALVATORE MARGIOTTA | All’interno del solare giardino de La Controra Hostel si è svolta la conferenza di presentazione per la quarta edizione di Altofest, Festival Internazionale d’Arti Performative e Interventi Trasversali.
La squadra di TeatrInGestAzione, capitanata da Anna Gesualdi e Giovanni Trono, ha illustrato programma e intenti del nuovo cartellone, come sempre ricco e articolato. Performance, residenze site-specific, installazioni, interventi e supervisione di un Osservatorio Critico compongono infatti la kermesse di quest’anno che avrà luogo dal 22 al 28 settembre.
Rewriting spaces è il tema, oltreché la riflessione, che accompagnerà l’intera edizione 2014, cominciata già in sede organizzativa sotto i migliori auspici (200 adesioni da 44 nazioni diverse).
«Altofest – recita uno dei testi introduttivi – s’interroga in maniera radicale sulla necessità di ridisegnare la relazione con i luoghi, di sovvertire l’uso di spazi e l’attribuzione fissa di ruoli, di osare sconfinamenti (di genere, di disciplina, di competenza, d’azione) mai tentati; e invita gli artisti ad entrare in dialogo con questa riflessione, per declinare una propria definizione del concetto di “riqualificazione” riferibile al proprio progetto artistico».
“Riscrivere lo spazio”, quindi. Riscrivere non come semplice rimodulazione estetica di luoghi extrateatrali pre-esistenti, ma rielaborare lo spazio abitato di una città, Napoli, che storicamente e ciclicamente ridefinisce i suoi confini sempre in bilico tra tradizione e internazionalità. Si tratta dunque di sollevare una – forse LA – domanda da condividere con artisti e spettatori: è possibile nel quotidiano riscrivere i nostri spazi affrancandoci dalle istituzioni, evitando così di vivere nel contesto di decisioni assunte da altri?
Quella della riscrittura è una questione che inevitabilmente va ad investire un altro aspetto, quello relazionale, quello cioè del rapporto che “strategicamente” va instaurandosi tra artista-performer espettatore-abitante della città. La scintilla che permette l’innescarsi di tale relazione scocca intornoall’idea del dono. Altofest, con i suoi quaranta luoghi dislocati in quattro diverse municipalità,è strutturalmente, politicamente ed eticamente retto sulla totale disponibilità di alcuni abitanti- spettatori a donare la propria abitazione agli artisti ospitati.
È chiaro che non si tratta semplicemente di rendere disponibile un luogo ed accogliere una performance in un ambiente domestico, ma di condividere un’esperienza nel senso più intimo e profondo del termine. Questo del “dono” – come precisato dagli stessi organizzatori – è «il tassello di una vera e propria rivoluzione perché è un atto che di fatto elimina ogni forma di mediazione, smonta ogni convenzione in quanto i donatori, e così – di conseguenza – gli artisti a loro volta donatori di opere, svelano i momenti più autentici e intimi della loro vita, altrimenti inaccessibili». In quest’ottica “donare un luogo” significa dare il la alla preparazione di un terreno fertile sul quale rendere possibile un nuovo incontro, una nuova esperienza di incontro, tra artista e donatore prima, e tra gli abitanti-spettatori poi, favorendo – ed è questo l’obiettivo ultimo – un superamento e un sovvertimento dei valori con cui solitamente una comunità è costretta a vivere nel segno della creazione di un’opera collettiva nella quale ognuno è autore di un intervento diverso, a seconda del grado di coinvolgimento (organizzativo, artistico,
emotivo). Quanto auspicato è l’accadimento di un vero e proprio miracolo. Non a caso “It’s a Miracle” è il motto-guida scelto per questa nuova edizione che si preannuncia succulenta e generosa più che mai.