GIULIA MURONI| Potente il monologo ideato e interpretato da Alice Conti. In scena è Croce, crocerossina assunta tramite l’agenzia interinale, a dare vita a un soliloquio a proposito della vita e del lavoro nel Cie, centro di identificazione ed espulsione per stranieri. Le sue parole, impregnate di una crudeltà schietta, titillano inconsapevolmente le viscere del male, indugiando nella descrizione dei detenuti e delle pratiche cui sono sottomessi. Una mezza maschera da boia, indossata da un certo momento in poi, sembra esemplificare con la forza dell’immagine la natura paradossale incarnata dal personaggio: vittima di un sistema malato, di cui non è niente più che una pedina in fondo alla fila, arranca nel tentativo di ritagliarsi un ruolo, divenendo un’aguzzina a metà, fragile ed efferata, oppressa e senza scrupoli.
Ad opera della compagnia Ortika, quarto spettacolo del festival Direction Under 30, lo abbiamo visto presso il Teatro Sociale di Gualtieri (RE), occasione in cui si è aggiudicato il premio della giuria popolare. La tesi in antropologia della regista e attrice Alice Conti ha fornito la documentazione e l’occasione per una lettura nel profondo di quella materia scottante che sono i Cie. Verità inquietanti, a fronte di un’ambiguità sullo statuto legale e la nomenclatura, nascondono realtà atroci: umanità disperate, private di ogni cosa, in bilico perenne tra la salute e la malattia, colpevoli soltanto di essere stranieri in una terra respingente.
Conti, insieme a Chiara Zingariello, ha dato vita a una drammaturgia complessa, stratificata e informata, che non cede alla facile tentazione di polarizzare i personaggi sulla base di una moralità piccolo borghese, ma anzi restituisce con onestà il problema nel suo drammatico avviluppamento alle tensioni sociali e ai rapporti di potere. Spinto da una motivazione forte, lo spettacolo è fortemente animato da un’urgenza e arriva con forza, senza lasciarsi sopraffare dalla tensione comunicativa.
Lungi dall’arrestarsi su un piano di rivendicazione civile, il salto immaginifico avviene anche grazie ad un impianto scenico sapiente, a cura di Alice Colla, che costruisce dei quadri coerenti entro cui Conti si muove freneticamente. Su una lavagna metallica è la piantina del centro, che Croce indica e sul quale dà delle sferzate con una catena. Gli inserti sonori, una voce femminile radiofonica, una canzone natalizia o il suono di un carillon, contribuiscono ad accentuare l’atmosfera parossistica di sottofondo. Frontali e controluci al neon, sui toni accesi del rosso, blu e verde, lampeggiano a più riprese, amplificando lo stato di emergenza che delinea i confini, interni e esterni, di questo lavoro. Sul finale compare Madame Garante, figura archetipica dell’ipocrisia che si cela dietro l’universalismo dei diritti umani, che, con un lungo abito da sera scintillante e una folta chioma platinata, sgambetta fiera al suono degli applausi. Merita l’acclamazione, è anche grazie al suo lavoro di salvaguardia che tali crudeltà scorrono impunite. Una chiusa davvero efficace. La platea si trova ad applaudire il personaggio che appare più riprovevole, quello che si erge a tutela ma che, sotto i luccichii del buonismo e gli strepitii di inutilità, detiene la responsabilità più spietata.