coppiaVINCENZO SARDELLI | Alienazione, crisi dell’io. Senso di vuoto, che ogni tanto diventa vertigine. Acuto bisogno d’amore. Di fondo, una fortissima ironia salvifica. E un umorismo gentile, che è sguardo leggero sulla vita.

La crisi di coppia può essere affrontata in vari modi. Nel confronto paritetico, che magari degenera in conflitto. Oppure nella fuga. Che proprio quando prelude al distacco, offre una chance a umanità e perdono.

Due pièce teatrali, di scena alla Cooperativa e al Tertulliano di Milano, propongono spunti plurimi sull’amore. Storie e generi dissimili. Attori dai percorsi artistici antitetici. Eppure lo spettatore trova il modo di scrutarsi. E riflettere su temi forti.

Vai alla Cooperativa, e capisci che cosa sia la professionalità in questo mestiere. Coppia aperta, quasi spalancata, regia di Renato Sarti, con Alessandra Faiella e Valerio Bongiorno, è uno spettacolo del 1982. Ma gli autori, Franca Rame e Dario Fo, entravano con puntiglio in un rapporto a due sclerotizzato dal maschilismo. Anche dopo le lacerazioni su aborto, divorzio e delitto d’onore, in Italia resisteva una morale ipocrita. L’apertura era intesa in modo unilaterale. Era viatico a un machismo ridicolo. Il mito dell’eterna giovinezza valeva unicamente per il maschio. Che si sentiva autorizzato, lui solo, a tradire.

La regia sobria di Renato Sarti rispetta un testo sferzante, ricco di dialoghi serrati e colpi di scena. Qualche anacronismo attualizza il copione, rendendolo ancora più graffiante. La scena interno casa (di Carlo Sala) attrezzata come una palestra irride il mito odierno della perfetta forma fisica. Gli attrezzi si riempiono di significati simbolici (un manubrio diventa propaggine priapea). Creano movimento scenico.

Sarti, accompagnato alle musiche da Carlo Boccadoro e alle luci da Luca Grimaldi, asseconda la verve comica degli attori. Alessandra Faiella accende l’ilarità con naturalezza disarmante. Padroneggia i tempi della comicità. Non esaspera i toni. L’espressività le appartiene come una cicatrice. Faiella interpreta sfumature variegate dell’animo femminile. Le donne in platea s’identificano con il personaggio. L’incontro rivela persino lati nascosti della loro personalità.

Nel connubio artistico, Valerio Bongiorno ritrova lo smalto migliore. Supera la caratterizzazione bizzosa, esteriore, da commedia dell’arte. Si lascia andare. Dà spessore e complessità al ruolo di marito.

Se l’intelligenza del testo caratterizza Coppia aperta, quasi spalancata, la fantasia scenica è il punto di forza di Va tutto bene, che la compagnia Oyes ha messo in scena allo Spazio Tertulliano.

indexLo spettacolo ideato e diretto da Stefano Cordella (aiutato alla regia da Umberto Terruso, Daniele Crasti e Francesco Meola) tratteggia con delicatezza un’umanità fragile ma mai alla deriva, ossessionata dal bisogno di relazione.

Sullo sfondo di temi universali come la famiglia, l’amore, l’amicizia, il sesso e la morte, emergono figure tragicomiche: Attilio, diciottenne in disarmo alla ricerca di esperienze che lo traghettino tra gli adulti; un giovane amico che gli dà buoni consigli non potendogli dare cattivo esempio; una madre nevrotica, sfatta dai mestieri di casa, sedotta dalla banalità televisiva; un marito assente che la tradisce con Lilly, misterioso angelo biondo (i costumi e le scene sono di Mara De Matteis) motore della vicenda.

Tra balli grotteschi e risa garbate, paradossi, canti eterei e un casto striptease, questo lavoro valorizza le buone abilità recitative di Vanessa Korn, Dario Merlini, Alice Francesca Redini, Umberto Terruso e Fabio Zulli. Le musiche accompagnano i momenti struggenti, intimi e buffi della pièce. La drammaturgia è ironica, mai frivola. C’è catarsi. Forse mancano momenti di genio creativo che facciano esclamare «caspita, non ci avevo mai pensato». Qualche passaggio appare sottotono. Le luci da candelabro di Christian Laface segnano passaggi chiaroscurali tra caldo e freddo. Nascondono però l’espressività facciale, lasciandola irrisolta.

Va riconosciuta, in ogni caso, la capacità di osare di questa compagnia. Che sa mettersi in gioco su temi e generi diversi. Che continua a mescolare i ruoli, e sperimenta. Qualcosa di buono ne esce sempre. Come crescita artistica, ed emozioni da condividere con il pubblico.