FRANCESCA PEDDONI | Esprimersi con l’arte in modo tradizionale non è di certo facile. Farlo con una performance lo è ancora meno. Lo sa bene Joan Jonas che con la sua “Reanimation” conquista il pubblico dell’Hangar Bicocca di Milano. La performance completa la prima grande mostra personale dell’artista americana, ospitata presso un’istituzione italiana: Light Time Tales, a cura di Andrea Lissoni.
Non è un caso che sia stata scelta proprio lei come rappresentante degli Stati Uniti alla prossima Biennale di Venezia e non è un caso che l’artista, con i suoi settantasette anni, abbia raggiunto l’apice della sua ricerca artistica proprio con “Reanimation”.
Spenti i monitor della mostra e tutte le luci dell’hangar, ecco accendersi i riflettori su un palcoscenico d’eccezione che contiene gli elementi del linguaggio performativo della Jonas: al centro della scena un grande schermo, un tavolo da disegno, un banco da lavoro con una fotocamera sospesa su di esso. In questo modo le azioni delle mani sono proiettate tramite feed live sullo schermo centrale, creando degli effetti di sovrapposizione spettrale. E poi ancora, una lavagna, un mixer e tastiera, in cui dal vivo il musicista e compositore Jason Moran interagisce e collabora con l’artista nella sua esibizione.
Forte è il contrasto fra le silenziose montagne innevate proiettate sullo schermo e i suoni, a volte stridenti a volte ripetitivi, creati con utensili da cucina, fischietti, campanelli e altri ninnoli dall’artista. Le immagini scorrono e gli elementi della natura si susseguono in un alternarsi di disastri ambientali, musica, suoni e disegni. Le mani, in primo piano sullo schermo, e poi UNA mano, quella dell’artista segnata dagli anni, trema, mentre prova ad imbrigliare gli elementi della natura. Con un segno primordiale segue il profilo di montagne, di case, di animali prima della loro scomparsa, dal monitor e dalla realtà… Scorre l’acqua, come scorrono le note improvvisate di Moran che fanno da texture sonora mistica alla narrazione sensoriale di Joan, che guidano e assecondano i gesti e i disegni in un alternarsi di suoni incalzanti e ossessivi a ritmi caldi e delicati suonati al pianoforte.
L’artista, minuta e completamente vestita di bianco, assomiglia allo Zigolo delle nevi: “Tale uccello ha circa il peso di un francobollo”, scrive l’autore islandese Halldór Laxness nel suo romanzo del 1968, “Sotto il ghiacciaio”, a cui Reanimation è ispirata. E’ nella sua apparente fragilità che l’artista stupisce lo spettatore mentre la si osserva diventare parte integrante delle immagini del monitor e trasformarsi in uno sciamano quando improvvisa una danza mistica e profondamente spirituale con la sua ombra, potente presenza alle spalle. Ombra che prende vita anche in una lunga sequenza sullo schermo, allungata e imponente creata da una luce pura, quella del sole all’alba. Il rumore “musicale” delle scarpe che affondano sul terreno ghiacciato, accompagnano l’ombra nel suo cammino e la trasformano da soggetto inconsistente ad essere vivo e positivo nel processo di “Rianimazione”.
Nella performance il disegno è il contatto con la tradizione, capace da sempre di fare da tramite fra l’uomo e Dio, diventa in Reanimation il medium perfetto che interagisce con gli altri componenti della realizzazione, in un’armonia elegante e allo stesso tempo energica e potente. Un dialogo continuo fra la vita e l’essere superiore a cui l’artista si rivolge in un‘ultima preghiera.
Gli applausi e l’entusiasmo del pubblico, abbracciano calorosamente il piccolo “zigolo delle nevi” che con tutta la sua energia è pronta ad appassionare il pubblico della prossima Biennale di Venezia.
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