Laura Bandelloni e Alessio Martinoli
Laura Bandelloni e Alessio Martinoli

MATTEO BRIGHENTI | “Abbiamo studiato per due mesi Raimondo Vianello e Sandra Mondaini: il loro litigio continuo porta avanti il pensiero, svela la profondità con ironia.” Questa è la felicità che Alessio Martinoli cerca, discute, insegue con Laura Bandelloni, compagna di scrittura, di regia e di vita, in Io sono felice – e alla fine dello spettacolo lo sarete anche voi che arriva martedì 4 novembre al Teatro Studio di Scandicci all’interno della IX edizione di Zoom Festival, intitolata “Oscillazioni” dal direttore artistico Giancarlo Cauteruccio. Io sono felice è un varietà di arti, prosa, lettura, danza, canto per dare voce e corpo alla felicità di fare ed essere felici, in un’atmosfera che frizza di gita scolastica, guidata da due saltimbanchi che raccontano una storia personale di cadute e risalite, ma al tempo stesso collettiva, generazionale.
Incontro Alessio nell’ ‘ufficio’ che la sua precarietà teatrale gli ha concesso: il bar del padre in via Cavour, a Firenze. Presto sarà papà anche lui: Laura, infatti, è al settimo mese di gravidanza.

“Per me quella pancia significa che tutti possono creare, non solo l’artista.”

Io sono felice – e alla fine dello spettacolo lo sarete anche voi è un titolo impegnativo.
“Da piccolo facevo le imitazioni davanti ai miei genitori e quando ridevano per me era una soddisfazione: far felice mi rende felice. Questa è l’epoca delle responsabilità e la mia è chiedere il diritto di stare su un palcoscenico. Dobbiamo tornare alle passioni, le uniche che possono ribaltare la crisi e la paura del futuro.”

È uno spettacolo politico?
“Vogliamo fare uscire il teatro dalla marginalità, farlo tornare a essere un avvenimento collettivo. Oggi come oggi il teatro non cambia il mondo, puoi dire cose bellissime, resteranno comunque ai margini. Che si sia d’accordo o no, il calcio è il più grande spettacolo d’Italia.”

Io sono feliceE il pubblico che va a teatro vuol vedere i classici. A un certo punto, non a caso, mettete in scena l’inizio del Gabbiano di Čechov, il dialogo nero come il lutto di non essere riamati tra Maša e Medvedenko. “Toccherà fare qualcosa – dici a Laura quasi per scusarti – sennò si scocciano”.
“Per questo lavoro un po’ privato e un po’ condiviso Čechov è stato uno dei primi autori che ho preso dalla libreria di mio nonno, che la domenica mandava gli altri allo stadio, mentre lui andava al museo. Ogni volta, quando pensiamo a qualcosa da fare diciamo: rappresentiamo un bel classico, così come è scritto. In scena, però, lo facciamo da ‘contemporanei’, con i mezzi che abbiamo, che sono poveri, a differenza del teatro classico.”

La felicità allora è un percorso, un incontro, come quando date caffè e biscotti al pubbico: se vuoi lo zucchero devi chiederlo a chi ce l’ha, se vuoi un altro biscotto devi alzarti e andarlo a prendere.
“Per Laura il momento del caffè è fondamentale. Quando entri in casa la prima cosa che ti chiede è: “lo vuoi un caffè?” Questo è un altro aspetto della gestazione ‘casalinga’ di Io sono felice. Poi, il pubblico paga per venirci a vedere e noi dobbiamo restituire, in qualche modo, ciò che riceviamo. Quanto ci vuole a comprare un po’ di caffè e due biscotti? Niente, però trasmette tanta gioia. Da un punto di vista compositivo ci serviva per spezzare il ritmo, perché nella prima parte diamo tante informazioni: mentre la studi capisci che la felicità non finisce più, che non ne sai mai abbastanza.”

Tra gli altri, citate Epicuro, Kant, Camus, il Dalai Lama. Secondo te la felicità viene dal sapere o dal non sapere?
“Dobbiamo essere orgogliosi di vivere in un Paese che ci permette di non essere felici, perché possiamo lottare per esserlo. Se andasse tutto bene che senso avremmo? La ricerca della felicità dà senso all’arte stessa.”

Lo scrive anche Cauteruccio nella nota introduttiva al Festival: “l’oscillazione è una modalità necessaria di questa nuova generazione creativa che agisce in costante movimento e non pone la creazione in una condizione di certezza ma in una ricerca incessante.”
“Quello che si può rimproverare al contemporaneo è di ricercare qualcosa che spesso non interessa a nessuno. Ma forse ciò è dovuto pure al fatto che l’Istituzione non cerca più niente: il tempo passa, ma in teatro esiste ancora la stagione, il cartellone di prosa, termini e pratiche antiche, tradizioni che vengono mantenute e invece sarebbero da innovare.”

Io sono felice immagine principaleIl problema di questa “nuova generazione creativa” è di non porsi abbastanza in contraddizione con la precedente? Aspira, piuttosto, a un consenso che finisce per ripetere gli errori del passato?
“ ‘Nuovo’ è una parola che andrebbe abbandonata. Comunque, è sempre chi c’è che deve aprire al nuovo, è Cauteruccio che apre al nuovo, non noi, che non siamo parte di alcuna generazione. Poi, sì, è vero, a Zoom capita di vedere cose che sono più vecchie di lui.”

Il nuovo insomma non si percepisce come tale, ma viene riconosciuto da chi non lo è più. Con la felicità è lo stesso: capisci che eri felice quando sei triste.
“La nostra è una panoramica come quando prendi gli autobus turistici aperti o fai un giro a piedi: non ti può interessare tutto, è il tuo punto di vista che conta. Tutto passa dalle domande: perché viviamo, perché stiamo qui? Quella è la felicità da assaporare, il passo superiore.”

Zoom Festival 2014 dal 3 all’11 novembre vedrà alternarsi sul palco del Teatro Studio di Scandicci 14 giovani formazioni di teatro e danza, un artista brasiliano come Marcelo Cordeiro, due prime nazionali, una performance site specific e, novità assoluta, uno spettacolo per ragazzi. Durante tutta la rassegna un gruppo di giovani critici diretti da Simone Nebbia e Andrea Pocosgnich di Teatro e Critica prenderanno parte al “Laboratorio di riflessione e scrittura critica” e daranno vita a un giornale cartaceo che verrà distribuito in tutta Scandicci.

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