RENZO FRANCABANDERA | Le nove donne vestite di bianco e con il copricapo islamico brandiscono un libro dalla copertina antica (concettualmente un testo sacro) e lo battono come spesso si vede nei documentari sui giorni caldi delle primavere arabe, o sui momenti di tumulto in Medio Oriente. Siamo in un hammam, nel giorno riservato alle donne.
Nella realtà scenica il rumore ottenuto dai libri è quello con cui alcuni parenti inferociti bussano alla porta dell’hammam reclamando l’uscita da quel luogo così emblematico e simbolico per l’area islamica di una donna incinta, rea di aver commesso adulterio. Con lei dentro altre donne, avventrici del bagno caldo.
Siamo ad Algeri, ai giorni nostri. Nove donne algerine, si trovano, malgrado loro, a barricarsi dentro l’hammam, per sfuggire all’ira dei parenti che reclamano la donna per punirla.
La scrittrice algerina Rayhana, tradotta da Mariella Fenoglio, affida alla regia di Serena Sinigaglia e all’interpretazione di Anna Coppola, Matilde Facheris, Mariangela Granelli, Annagaia Marchioro, Maria Pilar Pérez Aspa, Arianna Scommegna, Marcela Serli e Chiara Stoppa, un testo costruito con abilità narrativa, la giusta leggerezza ma anche un sistema calibrato di contrappesi emotivi capaci di descrivere una realtà sociale in evoluzione e cambiamento, dilaniata dal confronto con la vicina Europa e i suoi costumi, ma ancora legata ad una tradizione di matrice religiosa che di fatto relega la donna ad un ruolo subalterno, ad un sistema decisionale di cui la famiglia come entità astratta, ma di fatto l’uomo, sono vertice.
“Rayhana” è uno pseudonimo. Che non è bastato però all’autrice, che vive e lavora in Francia, ad evitare di essere aggredita da un gruppo di integralisti islamici mentre si recava a teatro proprio per la drammaturgia “Alla mia età mi nascondo per fumare”.
Nelle note di regia Serena Sinigaglia pone in rilievo un elemento cruciale di questo testo, che è la potenza corale. Ed e’ una considerazione corretta. A differenza di molti testi per il teatro che delineano due-tre protagonisti lasciando poi spesso mezze figure irrisolte in secondo piano per alimentare la scena, “Alla mia età” è invece una storia che si realizza nella sua compiutezza proprio nella dimensione polifonica, corale e tutta al femminile, in cui spazio tragico e ironia sono capaci di fondersi per scolpire una storia che, senza scivolare in inutili derive, grazie alla scenografia centripeta, notevole per semplicità ed eleganza, pensata da Maria Spazzi e opportunamente illuminata da Roberta Faiolo, crea pathos, emozione e densa narrazione per un’ora e mezza circa.
Al centro una vasca d’acqua, con alcune sedute attorno. A fare da pavimento liquido ci sono lenzuoli, disposti proprio in modo da creare onde, in un prolungarsi dalla ideale vasca alle sedute che poco distanti la circondano. Uno spazio agito di pochi metri quadri, concentrato, in cui le donne riescono a creare una dimensione di libertà e confronto, dentro e fuori gli schemi sociali esterni.
La drammaturgia riesce, pur con qualche manicheismo e un po’ di didascalia, a tracciare uno spaccato interessante e a lasciare interrogativi, che la regia sa giocare su un piano di collegialità al femminile, una sorta di Albero di Antonia giocato su un lasso temporale di poche ore, con la ricchezza dovuta al fatto che la protagonista, ovvero la donna incinta, di fatto rimane assente, fuori dalla scena per quasi tutto il tempo. La regia sa allungare e accelerare i tempi, creare partizioni, fazioni, gruppi di pensiero, opinione, muovendo le attrici in scena che si fanno di volta in volta gruppo e individualità. A volte un po’ schematicamente ma in modo nel complesso efficace.
Sembra quasi di tornare ai movimenti scenici della prima Sinigaglia. Un ritorno alla semplificazione che non nuoce allo spettacolo e gli dona vigore e ritmo interno, lasciando il sentimento di una prova di forza collettiva, che in fondo è quello che la drammaturgia chiede. E’ uno spettacolo con tante prove d’attore interessanti, ma soprattutto una dinamica e una logica di gruppo che il teatro oggi pare non conoscere più. E per questo ha ancor più di valore.
coproduzione ATIR Teatro Ringhiera e Theater tri-buhne Stuttgart