RENZO FRANCABANDERA | “The protection of children is a priority. Even a small child on a bike should wear a helmet. And a newborn baby on a plane must be strapped to its mother.” Il Crimp melange che il duo registico Leschiera – White propone in questi giorni al teatro Litta con il titolo di Frammenti di contemporaneità, parte non dal “Meno emergenze-Fewer emergencies” del 2005, di solo urn anno successivo all’Attempts on her life che ha consacrato la grandezza del drammaturgo in tutto il mondo, ma da un breve e fulminante testo, Advice to Iraqi women, del 2003. Una sorta di decalogo dei rischi che i bambini corrono in guerra, ma in realtà ovunque, nel nostro tempo.
Tutti questi testi furono proposti a Royal Court e lanciarono Crimp nell’Olimpo della drammaturgia contemporanea, che notoriamente alberga nel teatro londinese. Lui insieme a Caryl Churchill, Sarah Kane, giusto per fare qualche nome.
A porgere il breve caveat bellico introduttivo ad un pubblico che poco prima viene raccolto fuori dal teatro per essere poi guidato, dal di qua di un cancello dello storico palazzo milanese fin dentro la Cavallerizza, i quattro giovani attori, Ermelinda Çakalli, Alessandro Macchi, Riccardo Buffonini e Luigi Maria Rausa che Francesco Leschiera e Chris White hanno scelto per questo progetto. Crimp ha il merito di abbinare nella sua testualità micro e macro cosmo, società e storie da pianerottolo, in un continuo rimando di punti di vista, capace di generare quindi conflitto, teatro.
Anche questo progetto di Teatro del Simposio, l’incontro di Francesco Leschiera, Alessandro Macchi e Antonello Antinolfi, lavora su molteplici forme teatrali e si origina dal testo, per arrivare poi alla costruzione dei personaggi e all’elaborazione delle fisicità e vocalità.
Frammenti di contemporaneità (Meno emergenze), è un’interpretazione che del testo di Crimp propone in forma appropriata una coralità affannata e straniante, ambientata in un cerchio di involucri diafani e opachi, che si illuminano dall’interno trasformando i quattro interpreti quasi nei pinguini di quel videogame in cui devono creare combinazioni di cubetti di ghiaccio.
La vicenda della trilogia principale, Fever Emergencies è quella di un quartiere bene, di una coppia bene, di un figlio.
Whole Blue Sky, il testo della trilogia Fewer con cui si inizia dopo il prologo de I consigli alle donne irachene, vede appunto i personaggi agire nel teatro di scatole bianche (nella prima al Royal Court anche le sedie degli spettatori erano coperte di manti bianchi) e racconta la storia di un matrimonio infelice, letto dal lato della donna, in quel passaggio spesso fatale da passione a matrimonio con figli. Ed è proprio forse la nascita di Bobby, primogenito, a tenere assieme il matrimonio. Fedelmente rispetto a quanto portato in scena a Royal Court nel 2005 gli involucri bianchi diventano rossi per Face to the Wall, secondo breve fotogramma, che è la storia di un massacro stile Columbine, e che prelude al terzo, Fever Emergencies, dove Bobby, un po’ come Tommy degli Who, è chiuso prigioniero in una sorta di gabbia che è la sua abitazione: una sensazione trasmessa con efficacia al pubblico, ricorrendo all’ingegnosa scomposizione di una macchina scenica (pensata da Leschiera) che in questo allestimento è una sorta di quinto protagonista, di cubetti di plastica auto illuminanti, mossi dai quattro protagonisti in strani abiti neri simil pinguino, disegnati da Luna Mariotti.
L’allestimento, infatti, gioca molto con gli elementi presenti in uno spazio recitativo anomalo sia per il pubblico che assiste sia per gli attori che recitano, e che costringe i quattro ad un continuo movimento corale, sia fisico che vocale: il risultato migliore si ha proprio quando tutte queste parti sono in equilibrio e la testualità riesce a sovrastare la notevole, ancorché fascinosamente artigianale, macchina scenica.
La prova è certamente interessante e attraverso alcuni progressivi aggiustamenti, che staranno proprio in come gli attori saranno capaci nel tempo di indossare il testo, possono rivelare uno dei tentativi più interessanti di portare Crimp in Italia, in un modo che sia capace di rispettare la filologia del testo e al contempo di proporne una lettura centrata e appuntita, che mescola un’idea di teatro performativo ed uno tradizionale e di prosa, in un ibrido felice e riuscito.