Aringa Rossa, coreographie de Ambra Senatore
©ViolaBerlanda

GIULIA MURONI| Durante le campagne di caccia le aringhe rosse venivano utilizzate per distrarre i cani dei cacciatori concorrenti. Nei paesi anglosassoni “aringa rossa” si adopera come espressione idiomatica, quando cioè “un indizio o un’ informazione è pensata per essere fuorviante, di distrazione rispetto alla questione centrale.” Sovente in uso in letteratura e nel cinema, si pensi a tutti quegli elementi che nei gialli conducono verso un falso assassino, Ambra Senatore se ne è servita, in modo forse metadiscorsivo, come titolo per la sua più recente creazione.

Danzatrice e coreografa torinese, francese d’adozione, Ambra Senatore ha presentato “Aringa Rossa” alle Fonderie Limone. Fiore all’occhiello della danza nostrana, trova spazio tra le fila del Made.it, il focus sulla danza italiana che fa parte del cartellone della corrente edizione del Torinodanza. Il punto di partenza è stata l’indagine delle dinamiche di un gruppo, la qualità di questa presenza e dei suoi spostamenti dentro e fuori lo spazio, di cui traccia una fitta rete di attraversamenti. Sono nove gli interpreti sulla scena, Senatore compresa, che costruiscono e disfano un’armonia caotica, in un accadere di quadri dall’ estetica ricercata. I costumi, tratti da un contesto quotidiano, borghese, hanno linee morbide e colori pastello, i lembi delle gonne e delle giacche creano degli arabeschi, scivolano sui corpi in movimento. Il disegno luci è ricco, si trasforma in virtù dei quadri che costruisce e spazia dai laterali color ambra agli occhi di bue che fendono il buio, verso la fine. Lo spettacolo si apre con una diffusa luce calda, nel silenzio, e quattro uomini che sembrano rivolti ad un paesaggio inesistente. Di qui l’ingresso delle donne e un vociare perenne di corpi in dialogo, cui si alternano sparuti attimi sinfonici, e vere e proprie chiacchiere. Scambi surreali, battute di spirito che coinvolgono il pubblico, cui i danzatori si avvicinano e rivolgono. La danza che scaturisce da questo gioco vivace di incontri è composita, ricca nei suoi elementi e nelle appropriazioni di ciascuno dei nove corpi, trae linfa da complessi e stratificati giochi mimetici, lungo le ordinate e le ascisse di uno spazio vissuto nella sua totalità. Si rinnova l’esigenza di partenza, ossia l’indagine delle dinamiche e dei flussi di energia che scorrono in un gruppo, astratta e nutrita di risoluzioni mai banali, pregevoli sul piano coreutico ed estetico, venate dall’ironia e la giocosità che sembrano parte costituente della composizione del gruppo e dello spettacolo. Una serie di simpatici divertissement dal sapore francese, che hanno senz’altro origine da quella pratica nostrana di interesse e rilievo nazionale che è il cazzeggio, lo sguardo ironico e disincantato sulle cose, ma sembrano risentire di una durata stiracchiata soprattutto nel confronto con il pubblico. Una drammaturgia con qualche fragilità per uno spettacolo sofisticato, forte dei limpidi incroci di relazioni e respiri.