ADELCHI 07FRANCESCA DI FAZIO | Un’Ermengarda rattrappita e spaventata sbuca da dietro pannelli di tessuto bianco che coprono le pareti della sala lungo il perimetro. Perduti nel ricordo della madre che non ha più, i suoi respiri affannosi si mischiano alla sua voce registrata, che durante lo spettacolo si alterna alla voce naturale dell’attrice.
Comincia così l’allestimento di Lenz Rifrazioni ispirato alla tragedia di Manzoni, presentato al performing arts festival Natura Dèi Teatri a Parma. La drammaturgia, curata da Francesco Pititto, mantiene ben poco di quel che è il testo dell’Adelchi: il linguaggio non è quello di Manzoni, le battute rimaste sono scarne ed essenziali, giocate su ripetitività e intensità di silenzi; esse si modellano sulla sensibilità dei tre interpreti, tutti formatisi nei laboratori teatrali di Lenz rivolti a persone con disturbi dello spettro autistico, realizzati in collaborazione con Ausl di Parma – Dipartimento Assistenziale integrato di Salute Mentale.

Il lavoro sull’Adelchi è, per la regia di Maria Federica Maestri, soprattutto un lavoro sul personaggio di Ermengarda, figura-simbolo di donna, di tante donne condannate al dolore dell’abbandono, costrette da un sentimento bruciante ad avanzare verso le proprie ceneri, da eros a thanatos. La giovane attrice Carlotta Spaggiari, affetta da disturbi dello spettro autistico, esprime delicatamente il disorientamento disperato di Ermengarda, con un disciplinato distacco che rende l’interpretazione più mentale che emotiva. Franck Berzieri, già interprete di altre creazioni Lenz, è impegnato nel duplice ruolo del padre Desiderio, un padre sonnolento che non capisce i silenzi della figlia ammutolita dal dolore ma grida vendetta per difendere il suo onore, e in quello di Carlo Magno, un re gradasso e vecchiotto.

Incisiva la scena dell’incontro tra Carlo Magno ed Ermengarda: essa vede il re con solo le mutande addosso mentre tenta di circuire l’esile e silenziosa Ermengarda che, attratta e al contempo spaurita dal sentimento che prova, più volte si avvicina e si accoccola sulle gambe del re francese per poi staccarsi improvvisamente con un sussulto, in un delicato andirivieni senza soluzione, in un movimento da metronomo, in una danza dell’amore impossibile. Adelchi, interpretato da Carlo Destro, è un giovane valoroso che tutto farebbe per riscattare la sorella ma l’unica vera azione che riesce a compiere in questo adattamento è farla giocare assieme a lui ad un’immaginaria partita a tennis, che le strappa qualche risata di bambina. È il figlio eccellente che muore nella guerra scatenata dal padre Desiderio contro Carlo Magno, motivo di rimpianto da parte del padre che, disperato, continua a ripetere: “non c’è speranza, atroce è la guerra, io l’ho voluta, io ti ho ucciso”.

La sala è divisa orizzontalmente da pannelli di tessuto bianco semitrasparente: si crea una scenografia dell’ideale in cui lo spazio è diviso in tre zone che allontanano sempre di più i personaggi dallo spettatore. Ermengarda, dapprima occupante lo spazio antistante al pubblico, esalerà l’ultimo respiro (dopo una lunga serie di strazianti urla) nella zona più in fondo, velata ma visibile ai nostri occhi, su un canapé bianco ricoperto da un leggerissimo telo di plastica, a ricordare le sedie imballate di Christo e Jeanne-Claude. La scenografia, prevalentemente bianca e polverosa, essenziale e rigorosa, di grande impatto, comprende le video-installazioni di Francesco Pititto: la sua “imagoturgia” proietta sui pannelli trasparenti diverse immagini filmiche che accompagnano la visione durante tutto lo spettacolo. Il disegno delle luci è particolare e precisissimo, quasi un’installazione luminosa, con tagli strettissimi a forte contrasto che modellano i personaggi in immagini caravaggesche.

Nel complesso quest’Adelchi è una creatura che ha concentrato tutta la propria energia cinque centimetri sopra la testa, staccandosi dal corporeo e dall’emotivo: è studiata, pensata, riflettuta, elucubrata.

http://lenzrifrazioni.it/ongoing/adelchi/

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