della caduta un passo di danzaRENZO FRANCABANDERA | Sarebbe onestamente banale ridurre questo incontro di sensibilità fuori dai percorsi tipici di ciascuno dei componenti l’ensemble ad un esercizio di stile.
“…Della caduta, un passo di danza”, infatti, in scena fino a domenica 21 al CRT di Milano è un assolo di danza non privo di una certa ambizione, che prova a proiettare il sensibile di tre artisti Lara Guidetti, Carmen Giordano e Carlo Boccadoro, con aree di pensiero molto diverse e per certi versi distanti, su un tema unico, all’interno di uno spazio scenico che rinuncia a scenografie di sorta per affidarsi al nero del fondale del CRT Milano e a pochi altri elementi, per lo più figli della creatività luministica di Alice Colla e ad alcune trovate di Valentina Tescari.
L’assolo dura circa un’ora, all’interno della quale si sviluppano micro sequenze separate da transizioni al buio, e che raccontano con annotazioni più di luce, movimento e ambientazione sonora, la transizione della vita di una donna attraverso le sue età, dall’infanzia incosciente alla giovinezza elegante e sfrontata, alla maturità fra poesia e delusioni fino alla vecchiaia con i suoi turbamenti e al transito finale.
Lara Guidetti, in scena, firma anche le coreografie, sulle musiche di Boccadoro (composizione acustico elettronica) ed alcuni preziosi silenzi o echi dei movimenti ottenuti grazie al alcuni microfoni ambientali dal sound designing di Marcello Gori. Carmen Giordano, regista e drammaturga, al suo primo esperimento registico nell’arte coreutica, riesce a creare un percorso di immaginazione evocativo.

I primi movimenti dell’essere incosciente e animale, ricordano le bestie nude di Xavier Le Roy, mentre l’età della giovinezza, con un’eleganza “vestita” e un controluce realizzato con mezzi poveri ma usati in modo interessante, trascina poi lo spettatore verso due scene, come quella degli innaffiatoi e della morte, davvero notevoli.

Il lavoro ha alcuni chiari pregi. Innanzitutto non scade nel banale e illustra senza diventare mai didascalico, raggiungendo momenti lirici in ogni sequenza.
In alcuni casi si un po’ insiste sulle immagini, forse per l’impossibilità di compattare l’impianto musicale a tratti troppo egemone nel dettare movimenti e lunghezza delle sequenze: è certamente possibile pensarne una versione più distillata che lasci in evidenza il contrappunto silenzio musica, corpo mobile-corpo immobile, movimento sporco-movimento elegante.

D’altronde la vita è ondeggiare fra miserie e luci, fra ombre di dannazione e passeggiate eleganti nel proprio io migliore. Della caduta, un passo di danza, sa suggerirlo e farlo immaginare, può crescere con le abilità messe a fattor comune e con quell’ulteriore dialogo necessario ad asciugare un lavoro comunque di pregio.

La breve e bellissima poesia di Pessoa da cui deriva il titolo dello spettacolo, in fondo, proprio questo illustra, ovvero come la vita vissuta in forma alta si dia con la mutazione della miseria e dell’errore in ricchezza e gesto elegante, dal corpo allo spirito.

Tale volontà kantiana è proprio la sensazione profonda che Della caduta lascia allo spettatore, con una Guidetti intensa, finalmente diretta da una regia esterna capace di estrapolare un’indentità ulteriore e preziosa, che arriva a livelli di dialogo con il tema artistico oggetto della proposta coreografica assai alti, e finora declinati con spettacoli un po’ troppo carichi di simboli e ibridazioni.

Così pure per la Giordano, questo confronto col silenzio, con la drammaturgia senza parole, è diventato elemento preziosissimo per lavorare sul necessario, sul togliere la parola, elemento per lei imprescindibile ma a volte forse troppo egemone. Una lezione i cui frutti si leggono nel passaggio, ad esempio, fra gli studi su Amleto/Ofelia dell’anno passato, e le più intense e taglienti letture di Checov di quest’anno.

Per entrambe, in mezzo, appunto, questa caduta. Questo passo di danza.