FRANCESCA DI FAZIO | “Quello di Elfriede Jelinek è un teatro post-drammatico: è perduto il senso di rappresentanza, vige la distruzione del personaggio. Qui è il paradosso: come si fa a rappresentare un testo che sancisce la fine della possibilità di rappresentazione?”
Eppure Fabrizio Arcuri, regista di FaustIn and Out, spettacolo tratto dall’omonimo testo della scrittrice austriaca premio nobel Elfriede Jelinek e presentato in prima nazionale al Teatro Due di Parma in occasione del festival Focus Jelinek, sembra essere riuscito a superare il paradosso.
“Abbiamo passato giornate intere a leggere e recitare il Faust di Goethe, a studiare Essere e Tempo di Heidegger, ad informarci su tutti i riferimenti alle basi della cultura occidentale che la Jelinek cita nel suo testo. Poi abbiamo lasciato emergere ogni stratificazione che il testo comprende organicamente al suo interno, abbiamo lasciato che la scena si rivelasse”.
Perché questo testo?
Abbiamo raccolto l’invito dal Focus Jelinek, ci hanno chiesto se per noi poteva essere interessante occuparci di questo testo, che è uno degli ultimi che la Jelinek ha scritto. In questo senso non è stata una scelta.
Come si inserisce questo spettacolo nella vostra teatrografia?
È un testo che nei temi e nelle modalità è abbastanza vicino a ciò che abbiamo fatto in questi ultimi anni: abbiamo affrontato due messe in scena di Bertold Brecht, abbiamo rappresentato Taking Care of Baby di Dennis Kelly, un testo che tratta di un fatto di cronaca, affrontato attraverso una riscrittura mutuata da Medea, ma che soprattutto è un’indagine sui meccanismi della comunicazione; per come è scritto e l’atteggiamento di indagine politica che ha nei confronti della società è avvicinabile al testo della Jelinek. Abbiamo deciso di interessarci alla Jelinek perché è un’autrice interessante e importante, sebbene da noi ancora poco conosciuta, ma è chiaro che ha necessità di un contesto: è un’ autrice difficile, soprattutto per l’Italia che non ha mai avuto un buon rapporto col teatro tedesco, un teatro di pensiero e non di emozioni. All’estero c’è un rapporto molto più forte tra la società e il teatro, il teatro riesce ancora ad essere un luogo dove la comunità si riconosce.
Rappresentate il testo integralmente.
La scelta del testo integrale è inevitabile: tagliare questo testo significherebbe togliergli delle sfaccettature e lederne profondamente il senso. Questo testo ha senso perché è l’incontro tra tutta una serie di questioni che sono poste e sviluppate. Eliminarne alcune equivarrebbe a fare un torto al testo. È stata fatta una drammaturgia quindi c’è una riduzione del testo ma svilupparne una sola parte non avrebbe senso: ridurlo al mero fatto di cronaca o ridurlo alla mera dissertazione filosofica sarebbe inutile. L’autrice apre una serie di questioni, molte e tutte intrecciate tra loro: per tagliare si dovrebbe decidere di seguire solo due o tre questioni e “strecciarle” dal testo, che tuttavia risulterebbe monco.
Personalmente cosa ti ha colpito di più nel testo della Jelinek?
La sua radicalità, ma il sentimento è ambiguo: da persona senza dubbio la sua radicalità è veramente contagiosa, da teatrante ogni tanto l’ho un po’ detestata.
FaustIn and Out è un testo molto impegnativo: come si è svolto il lavoro con gli attori?
Abbiamo lavorato come si fa sempre: un attore prima deve capire quello che sta recitando e poi farlo. Solo che questa volta capirlo è stato più complesso. Bisognava capire tante cose, bisognava capire il Faust di Goethe e degli assunti filosofici, politici e religiosi fondamentali su cui è costruita la società occidentale e di conseguenza entrare dentro quelle parole. È stato necessario fare molti giri mentali per restituire la complessità della sua scrittura. La complessità prevede più elasticità mentale e la capacità di entrare dentro i concetti senza semplificarli. In questo senso la ricerca della Jelinek è abbastanza subdola perché ama molto creare dei percorsi di ritmo e quasi di rime che lasciano intuire che la questione potrebbe essere risolta musicalmente, che per un attore sarebbe nettamente più semplice, però il rischio è che si perda, poi, il senso delle parole.
Nella messinscena come avete rapportato il testo di Goethe a quello della Jelinek?
Siamo stati molto letterali: l’autrice ha messo le citazioni in maniera quasi didattico-scolastica e noi abbiamo fatto allo stesso modo, siamo stati molto fedeli al testo.
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