imageRENZO FRANCABANDERA | Eccita anche me. La donna che legge. Supponiamo io sia in treno; e l’abbia di fronte. Mi chino a guardare cosa legga, se tiene il libro quasi sulle gambe. Cerco di scrutarne impercettibili sommovimenti d’animo, verità psicologiche che si condensano nel gesto del girare la pagina. Ecco perché il bel testo di Renato Gabrielli, in scena all’Out Off per la regia di Lorenzo Loris un po’ mi vede lì, diverso e a mio modo uguale, come il protagonista, a subire un fascino di matrice eminentemente intellettuale.

La storia: Massimiliano Speziani (Mirco), interpreta la parte di un uomo che si invaghisce di una donna vista leggere in spiaggia su un pedalò arenato a riva. Alessia Giangiuliani (Giada) è la destinataria di una passione che diventerà via via rovente ma che, invece che essere esplicitata direttamente, passa, per timidezza o desiderio di anonimato, per le mani negoziali di un’altra donna, Cinzia Spanò (Federica), avvocatessa. Il triangolo si ammanta di una serie di giochi di ruolo e di pulsioni molto contemporanee, essendo l’avvocatessa una ex dell’infatuato.

In un clima più vicino ad un romanzo di Pennac ambientato in riva al mare che a reminiscenze di sapor marinaro-decadente à-la-Moravia, ma con l’equivoco fra le due ipotesi teso come uno sgambetto con i costumi molto anni 50 di Nicoletta Ceccolini, il triangolo imperfetto si adagia per tutto il tempo su un testo efficace, dal punto di vista letterario.

Un testo che è prima di tutto un racconto breve, passibile poi di trasposizioni su diversi media. Non sfigurerebbe infatti a cinema, e per paradosso la dimensione teatrale è la più ardua.

Lorenzo Loris, maestro in generale di cadenze più compassate, sorprende un po’ tutti e attacca un ritmo gradevolissimo da marcia bersagliera, in cui il folletto Speziani trova casa in modo perfetto. E’ lui il metronomo dello spettacolo, contrapposto al silenzio crudele del personaggio affidato alla Giangiuliani. In mezzo la rampantessa avvocatessa, isterico borghese, precisina, perfettina, fondamentalmente rosiconcella, per una passione che lei a suo tempo non è riuscita a svegliare e per la generosità, anche economica, con cui l’uomo sovvenzionerà via via la sua mania fino al sorprendente finale, in salsa più sociale.

La cosa più vera e interessante è il fatto che in tutto questo la texture di parola esplicita la sua potenza letteraria e Loris, adattandolo bene ad un ritmo teatrale vero, che quelle parole hanno in sé, rivela forse una certa ridondanza (più della destinazione al luogo teatro che del testo di per se stesso), allorquando le dinamiche sono chiare ma si indugia un po’ nel gioco delle parti.

Il bel ritmo bersaglierio che Loris imprime alla recita, e che di fatto esalta della drammaturgia anche l’intrinseca comicità oltre che l’ironia, fino poi alla satira sociale nel finale, spiega in maniera più netta questo bisogno che abbiamo avvertito di maggior fluidità nella parte centrale, dove il meccanismo per dieci quindici minuti avanza un po’ per l’inerzia positiva impressa, che per un’effettiva forza trainante costante.

Detto questo (che pertiene alle sensazioni individuali rispetto al rapporto testo/regia), però, parliamo di uno spettacolo bello, ben interpretato, divertente, scritto e diretto bene.
Insomma uno di quei casi per cui, come nel calcio, viene da benedire ogni tanto l’autarchia drammaturgica che da tempo anima l’Out Off, invece che quelle pulsioni esterofile che non di rado ci mettono di fronte a parole spacciate per giocate di Maradona e che invece si rivelano autogol di anonimi Pedrinho o Sorondo.