VINCENZO SARDELLI | «Quel che proviamo quando siamo innamorati è forse la nostra condizione normale. L’amore mostra quale dovrebbe essere l’uomo».
In Sapevo esattamente cosa fosse l’amore prima d’innamorarmi, presentato al Teatro Litta di Milano nell’ambito della rassegna Apache, Macelleria Ettore continua il viaggio nella poetica di Anton Cechov. Siamo alla terza tappa di un progetto sullo scrittore e drammaturgo russo (terminerà con Il giardino dei ciliegi) che ha già sondato i temi delle relazioni (Nostalgia del presente) e della salute (Malattia della vita).
Qui siamo all’amore, sentimento tortuoso declinato in molteplici chiaroscuri. La regista Carmen Giordano risponde “in cirillico” alla domanda che Dante rivolse a Francesca da Rimini: «al tempo dei dolci sospiri, / a che e come concedette amore / che conosceste i dubbiosi disiri?». Ne nasce una partitura asciutta ed evocativa, che rielabora i testi di Cechov in una composizione originale.
E’ “solo” uno studio. Eppure i quattro attori sulla scena (Claudia De Candia, Stefano Pietro Detassis, Maura Pettorruso e Angelo Romagnoli) danno vita a un viaggio sentimentale capace di affascinare. Sono schegge che rivelano contraddizioni e ambiguità, stati emotivi, incontri mancati, storie sfilacciate. Amori gretti, conformisti, puritani, morbosi o senza nerbo. Amori evanescenti o pieni di carica progettuale. Etici e spirituali. Intensi e passionali. Sono trame di parole e silenzi, sguardi, gesti di mani lievi. Ogni tanto questi amori s’intrecciano agli affetti familiari, anch’essi contraddittori, tra dedizione e ricatto.
Il titolo è paradossale. Non sappiamo niente dell’amore finché non ci innamoriamo. Forse ne ignoriamo l’identità anche dopo averlo attraversato: una, dieci, cento volte.
Cechov sembra aggiungere una nota pessimistica all’amore secondo Tolstoj. Macelleria Ettore, tra dialoghi, crocchi e soliloqui, rappresenta la progressiva irrimediabile perdita di nessi tra i vari frammenti dell’esistenza. Necessariamente ambigue sono pertanto le risposte che nel corso del 75 minuti dello spettacolo risuonano nello spettatore. Che si domanda perché gli amori finiscano.
Qui non c’è nessuna aprioristica spartizione tra comportamenti positivi e negativi. L’amore è un capriccio d’alterna fortuna. Non c’è colpa né innocenza, semplicemente perché l’amore non ha volontà. E allora non scorgiamo mai esasperazione nei protagonisti, né urla, né violenza. Neppure di fronte al tradimento, al sentimento che declina e si perde.
La regia stempera le tensioni anche grazie all’accompagnamento musicale dal vivo di Renzo Rubino, Premio della Critica a Sanremo 2013. Rubino, pianoforte e pianino, interagisce con note avvolgenti. Ora rarefatta, ora sostenuta e serrata, questa musica viaggia nel subconscio umano con una vena sottesa d’ironia. Sembra il commento di un film muto. Invece è complemento essenziale di una partitura drammaturgica tra comico e tragico: è armonia d’incontri, attimi, parole.
Le luci di Alice Colla sono delicate, mai invasive. Il disegno luminoso sostanzialmente fermo intende assorbire il flusso ininterrotto di situazioni grottesche all’apparenza contraddittorie. Sono luci che tendono a non sottolineare la psicologia dei personaggi. Per la quale basta l’icastica interpretazione degli attori. E una regia che immortala, come fotogrammi, i tratti salienti della poetica di Cechov.