VINCENZO SARDELLI | Fare teatro per Corrado Accordino è sempre più rispondere a un bisogno intimo, personale, in qualche modo autoreferenziale. Col presupposto che una passione sincera che nasce dall’io debba in qualche modo incontrarsi con la sensibilità dello spettatore.
Assistere a questi spettacoli è come sintonizzarsi su una stazione radio: bisogna lavorare di manopola per trovare la frequenza giusta. Poche volte la ricezione è imperfetta. Lo scarto tra emittente e ricevente, cioè tra artista e pubblico, con i rispettivi codici, sensibilità, tempi d’adattamento, può essere questione d’attimi o anche durare l’intero spettacolo. Noi c’impieghiamo giusto quel quarto d’ora. Poi ci lasciamo contaminare – non dico trasfigurare – per il tempo che resta, applausi finali e feedback compresi. Perché c’è un’onestà di base, che porta Accordino a confrontarsi senza remore con il pubblico, disponibile a raccogliere emozioni, opinioni, persino critiche.
L’ultimo lavoro proposto è l’adattamento al Teatro Libero di Milano del romanzo di Gabriel García Márquez Dell’Amore e di altri demoni. Una compressione in trenta pagine delle cento originali. Una lettura scenica senza orpelli (con l’aiuto regia di Valentina Paiano) atto di deferenza verso l’autore e prova di consapevolezza delle proprie abilità recitative.
Dell’Amore e di altri demoni indaga, attraverso la storia di una dodicenne internata in un convento perché ritenuta indemoniata, sull’ineluttabilità e inspiegabilità del sentimento amoroso. Soggetto delicato, perché a innamorarsi della ragazza è un sacerdote che dovrebbe fungere da esorcista, e la nostra epoca è ipersensibile al tema della pedofilia, specie quando coinvolge i religiosi. Soggetto anche anacronistico, perché fa riferimento all’epoca in cui l’Inquisizione spadroneggiava in Spagna. Eppure in García Márquez l’amore rimane sentimento spirituale senza età, oltre il tempo, sublime, anche quando da platonico diventa fisico. Nulla di boccaccesco né morboso né patologico. Siamo oltre anche l’irredimibile schiavitù dell’inquieto ed estetizzante Humbert nei confronti della pigra e capricciosa Lolita di Nabokov.
L’amore qui è demone luminoso e salvifico. Tutto è sfumato nell’arte di García Márquez, antiaccademica, vicina alla vita vissuta, ma nello stesso tempo piena d’estro inventivo, assurda e imprevedibile come una favola. E qui Accordino esce dall’autoreferenzialità da leggio e voce e si affida all’accompagnamento di un sound spensierato, equilibrato e brillante. La musica è viaggio onirico-musicale con elementi fantasy, atmosfere incantate e sfumature jazz.
Soprattutto, Accordino fa ricorso a disegni animati proiettati su uno schermo ampio che riempie il palco. Gli animatori di MicrofilmStudio di Milano (Federico Cadenazzi, Chiara Lorenzon e Marco Enea Spilamberto, graphic illustration Chiara Vitale) danno forma a un dialogo su più livelli, in cui corpo e parole s’intrecciano con figurazioni gotiche simboliche, divinatorie e allucinanti. È lo sguardo interiore del narratore che pesca nel fondo della memoria e viaggia nel fondo della follia, tra menzogne e inganni, sentimenti e ingiustizia, ignoranza e aberrazioni. È uno stato catatonico tra immagini stilizzate e oniriche in bianco e nero. Tratti semplici, minimalisti, quasi naif, che l’assenza di prospettiva rende più espressivi.
Queste immagini costituiscono un contrappunto non didascalico alla narrazione, quasi un’altra dimensione in cui la vita si proietta. Eppure il loro flusso incessante, se riesce a vivificare la lettura scenica, attenua paradossalmente l’atmosfera di lucido stupore delle parole. La proposta univoca di quei disegni, per quanto vaghi, sfumati, in qualche modo surreali, indica cioè una direzione che rischia di comprimere e inibire la fantasia dello spettatore. Disattendendo proprio il presupposto da cui si era partiti: la sacralità dell’autore e di un’opera nata per la lettura individuale, rispetto alla quale una qualunque messinscena troppo teatrale sarebbe riuscita invadente e leziosa.