FRANCESCA CURTO | Al chiaro di luna sono affidate le “ultime” parole di Fragile/Kyoto, atti unici del drammaturgo scozzese contemporaneo David Greig, presentati al Teatro Libero di Milano sotto l’intuitiva regia di Vittorio Borsari.
Comincia al contrario, con Kyoto, la successione di due atti pensati separatamente che, apparentemente dissonanti, rivelano invece molti punti di contatto.
Cambiano la scenografia, lo stile, i personaggi e persino gli attori, ma entrambi raccontano due storie quasi d’amore collocate in un microcosmo che attende invano di essere salvato.
In Kyoto lo spettatore ha il privilegio di spiare quello che accade in una camera d’albergo spoglia, riempita da un arazzo rosso lussureggiante ed un letto matrimoniale su cui, di fatto, non succede nulla. A fare irruzione nel buio della stanza sono le voci di Lucy e Dan, due delegati per la salvaguardia del pianeta. Dopo l’ennesimo incontro passato a parlare del mondo, si vedono ora ad affrontare le sorti della loro storia d’amore mai veramente iniziata, fatta di provocazioni e sguardi durati dieci anni.
Mentre il mondo è fuori, al bar, a ubriacarsi, Lucy e Dan possono finalmente godersi la loro prima e ultima notte ma ciò gli viene impedito da una stanza d’albergo senza corrente, riscaldamento, servizio in camera e minibar, e dai troppi anni passati senza fare niente.
Come due adolescenti che non vedono l’ora di sfiorarsi, si cercano a tastoni nella notte ma alla luce della luna si rendono conto di quante cose sono cambiate dal giorno in cui, a Kyoto, hanno capito di amarsi.
Con il riferimento alla città di Kyoto e all’omonimo protocollo del 97′, Greig pone l’accento sulla questione ambientale e realizza un parallelo tra la storia di Dan e Lucy e l’unione mai realmente consumata tra l’uomo e il mondo.
Gli interpreti Alberto Onofrietti e Silvia Giulia Mendola sono ottimi nel tenere alta l’attenzione durante il primo lungo atto, in cui la minimale scenografia fa da sostegno ad un testo poetico in grado di affrontare con leggerezza temi importanti come la salvaguardia del pianeta.
Se in questo atto è la parola “Kyoto” ad essere sempre presente nel testo, nel successivo è “fragile” quella più pronunciata e che non rischia di passare inosservata.
Con un cambio scena delicato, che ricorre a piccoli accenni al primo atto, il letto king size dell’albergo si trasforma nella parete bianca su cui viene proiettato lo scioglimento dei ghiacciai, triste finale della storia d’amore tra Dan e Lucy e parallelamente di quella tra l’uomo e il mondo. Lo squarcio netto tra i due atti è tuttavia inevitabile per volere dell’autore.
Fragile non si apre infatti con una nuova coppia di amanti, ma con la Mendola che lascia il palco e rompe l’illusione scenica, cedendo il ruolo femminile del secondo atto al pubblico, che dovrà leggerne all’unisono le battute. Lo spettatore così non solo osserva ciò che accade di notte in un’altra stanza, ma diventa parte attiva della storia quasi d’amore tra il fragile Jack, cliente di un centro di salute mentale e la sua direttrice. Ma in questo caso si tratta di un transfert tra paziente e assistente e di fronte alla palese assenza d’amore Jack risponde con la minaccia.
L’esperimento è interessante, il pubblico partecipa al gioco e si diverte a interpretare la direttrice Caroline che riceve in piena notte la visita di Jack, scosso dalla notizia della probabile chiusura del centro. Il suo microcosmo di certezze faticosamente costruito è in pericolo e Jack si rende conto che qualcosa va cambiato, anche a costo di ricorrere a misure estreme.
Lo stile di questo secondo atto lo rende più breve ed energico del primo, ma l’innovazione si scontra con la perdita del testo. Infatti, sebbene il bravo Onofrietti riesca a mantenere il contatto visivo con tutti come se il dialogo fosse individuale, la lettura delle battute distrae molto dalla storia e il testo non si gode con la stessa fruibilità del precedente.
La soffocante esigenza di cambiamento è in realtà l’elemento di continuità tra i diplomatici del primo atto, che tentano di salvare il mondo senza neanche riuscire ad agire per la propria felicità, e l’estremista del secondo, che ha così tanto coraggio per intervenire da essere considerato pazzo.
Fragile e Kyoto si rivelano quindi, sotto la maschera di due storie d’amore mai davvero iniziate, il manifesto politico che porta alla luce della luna le illusioni e i rimpianti di un’epoca che non ha saputo cogliere l’occasione giusta per cambiare il mondo.