NICOLA ARRIGONI – Nel fiorire dei volumi dedicati al cibo, legato ovviamente ad Expo 2015, vale la pena segnalare un saggio un po’ fuori dai percorsi soliti in cui l’indagine su cosa vuol dire giusto e come questo lo si ritrovi all’interno del disgusto è senza dubbio interessante. Il merito di questa provocazione dotta e non scontata va a Maddalena Mazzocut-Mis che cura Dal gusto al disgusto. L’estetica del pasto (Raffaello Cortina Editore, pagine 214, 19 euro) che raccoglie i saggi di Paola Vincenzi, La rivoluzione dei sensi; Maddalena Mazzocut-Mis, A tavola!… Nel Settecento, Claudio Rozzoni, Disgustare gli occhi/gustare con gli occhi, Serena Feloj, Dal gusto palatale alla morale. Il disgusto come sentimento, Paola Vincenzi, Appetiti mostruosi, Michele Bertolini, Lo spettatore alla prova del disgusto. La complessità di voci raccolte nel volume è volta a indicare e indagare nel gusto e nel suo opposto strumenti, atti percettivi che – citando Hume – hanno a che fare con i principali gusti dell’estetetica: la bellezza, la conoscenza, la vita, la sensorialità e la dimensione del sentimento. «il problema sollevato da Hume è anzitutto dovuto alla polisemanticità e alla complessità del concetto di gusto, che sta fra il corporeo e il giudizio filosofico, talvolta anche conoscitivo». Tra il Seicento e il Settecento si pone la nascita dell’estetica e a un certo punto il gusto da sempre relegato fra i sensi inferiori e più oscuri a fronte dei più nobili: vista e udito, si prende la giusta rivincita e diventa strumento conoscitivo e ciò accade con l’assunzione ad arte della gastronomia fra XVIII e XIX secolo. In questa evoluzione, in questa promozione del gusto come atto conoscitivo «nella dimensione del piacere, che sia estetico oppure palatale, è inevitabile il confronto con la consapevolezza che il pericolo della trasgressione è sempre presente quando ci si muove nella sfera delle emozioni da cui possono dipendere manifestazioni corporee».
In questa prospettiva d’analisi «il disgusto si annida nella definizione stessa del gusto e si appella a quell’oscurità in cui è stato relegato in quanto senso inferiore – scrive la curatrice del volume -. L’elemento carnale, corporeo, materiale, inevitabilmente legato al gusto e al piacere estetico, è dunque anche ciò che genera il rovesciamento del piacere in dispiacere, del gusto in disgusto. La possibilità di un’estetica del disgusto, di una forma di godimento al tempo stesso attraente e repulsiva dell’arte, si rivela una sfida particolarmente stringente per la riflessione filosofica, che ha dedicato negli ultimi anni un’attenzione sempre maggiore a questa sensazione». Il carattere innovativo dei saggi raccolti in questo volume consiste proprio nel restituire una definizione del rapporto tra gusto e disgusto a cavallo tra estetica e alimentazione in un percorso di analisi ed esegesi che chiama in causa la filosofia e l’estetica, le arti materiali e la speculazione morale, in cui ciò che è disgustoso diviene rivelatore di una bellezza inattesa e choccante, ma anche ciò che apparentemente è gustoso, piacevole al palato si apre o può aprirsi al disgusto o per eccesso, o per costrizione bulimica… Insomma in tempo di Expo interrogarsi sul sottile legame che unisce gusto e disgusto può essere un buon esercizio di pensiero. Il volume di Maddalena Mozzocut-Mis percorre con cura e attenti zone questo stretto discrimine che ci permette di ridefinire e magari mettere in discussione la nostra ossessione del cibo.
Dal gusto al disgusto. L’estetica del pasto, a cura di Maddalena Mazzocut-Mis, Raffaello Cortina Editore, pagine 214, 19 euro
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