GIULIA MURONI| È un dodo stilizzato e colorato a fornire l’immagine alla terza edizione del Torino Fringe Festival. Animale estinto da secoli a causa della sua incapacità di adattarsi al mutato habitat, rivive come simbolo nella cultura di massa e sembra voler raccontare il senso di precarietà, il disequilibrio a un passo dall’estinzione del teatro in Italia, oggi. In particolare se ad alzare la voce sono delle compagnie giovani, fuori dai circuiti istituzionali, come nel caso del Torino Fringe Festival. Anche in questa edizione, dinnanzi al baratro dell’ estinzione incombente, il Fringe torinese ha ribadito la sua vocazione onnivora e ambiziosa, rilanciando con 46 spettacoli al giorno per dieci giorni, performance, feste, workshop e incontri.
Dal 7 al 17 Maggio dieci spazi del centro di Torino hanno ospitato gli spettacoli ospiti del Festival, in un susseguirsi di 3-4 eventi consecutivi al giorno, per ciascun luogo. Abbiamo sbocconcellato un po’ in giro per Torino, ecco qualche esempio virtuoso.
Al Garage Vian la compagnia napoletana Marina Commedia ha portato in scena un testo di Massimo Sgorbani: “Angelo della gravità. Un’eresia”. Fa da sfondo un terribile fatto di cronaca negli Stati Uniti: un detenuto sul braccio della morte è troppo grasso per essere impiccato, la corda si spezzerebbe. A partire da questa situazione drammatica e grottesca il monologo prosegue a ritroso, schiudendo gli scenari psicotici che affastellano l’esistenza del protagonista, dove l’obesità e lo stigma sociale che ne deriva, si accompagnano in modo esponenziale a una grave affezione psichica e ad azioni dolose. Nonostante una materia grave che tocca vette tragiche, il regista e attore Michele Schiano di Cola riesce con levità a tratteggiare una confessione inquietante che getta una luce sulle dinamiche psicologiche intime, perverse, morbose e fanatiche di un individuo e di un mondo in cui “amore è pornografia, nutrimento è bulimia, religione è consumo”.
Il pubblico gremisce il Magazzino sul Po per “Letizia Forever” di Teatrino Controverso. Salvatore Nocera indossa i panni di Letizia, siciliana semianalfabeta alle prese con il disordinato racconto della propria esistenza. Si parte dalla fuitina a diciassette anni verso Milano con un ragazzo acchiappato grazie a un raffinato gioco di taliate sulle scale della chiesa. Il fidanzato diviene presto marito ma questa relazione nel corso degli anni degenera in modo progressivo. A Milano lui divide il suo tempo tra l’impiego di autista dell’ATM e un’amante. Nel frattempo Letizia, dopo aver sfornato due creature, si ritrova invischiata in una solitudine spessa, insensata, dolorosa. Gli strumenti di analisi di cui dispone sono poveri, vive in un mondo di segni incomprensibili e ostici, è vittima e oggetto inconsapevole di soprusi. Sul finale salta la baracca ed è tutto di nuovo drammaticamente in discussione. C’è una costellazione di musiche tratte dagli anni ’80 che intessono la drammaturgia, dando spessore e efficacia estetica a un quadro in cui è la parola ad avere il ruolo di rilievo. Pochi elementi per uno spettacolo efficace, onesto e potente, che ha presto trovato riconoscimento tra le fila del Fringe.
Infine, al Teatro Officina- Hub Cecchi Point, Marco Chenevier del TIDA (Teatro Instabile di Aosta) ha portato in scena “La Scelta- Beati Pauperes in Spiritu- Eckhart project”, messinscena nata a partire dalla commessa di un “famoso festival torinese sulla spiritualità”. Il compito di restituire il corpo filosofico nella forma astratta e sublimata della danza contemporanea apre a una miriade di possibilità e di interrogativi: è giusto costruire una danza che si traduca in un subitaneo costrutto di significati? Il linguaggio coreutico può assurgere ad una immediatezza espressiva senza impoverirsi nella partitura del movimento? Chevalier frappone stralci coreografici a momenti in cui rivolge alla platea i quesiti della mistica di Eckhart (la negazione di volontà, sensi, giudizi e memoria). Scanzonato, chiede come gli sarà possibile “danzare” tali concetti. L’alternanza di parola e movimento avvia un meccanismo metateatrale incalzante, che Chevalier gestisce sapientemente, senza paura di percorrere il vuoto e anzi cavalcandolo con ironia. Su una precisa scansione musicale si compone la sua danza che, attraverso una qualità corporea elastica e elegante, varia di quadro in quadro, scorrendo da un movimento sincopato a uno fluido, rivolto verso ampie proiezioni spaziali.
Questi tre spettacoli, tra gli altri, hanno apportato una ricchezza al panorama variegato, poliedrico e disordinato del ToFringe. L’augurio è che questa “invasione teatrale” prosegua con forze sempre maggiori e che, diversamente dal dodo, rinforzi la sua decisa capacità di spiccare il volo. Magari nella direzione di scelte artistiche in cui l’estetica si avvicini alla sua consonanza con l’etica.