RENZO FRANCABANDERA | Un gruppo di uomini col la testa di papero emerge dal buio.
Poi di nuovo buio.
Poi quattro individui in posa, quasi da foto ricordo.
Buio.
Metti la classica riunone di famiglia di quelle che finiscono un po’ a merda. Tipo Festen, il classico topos della letteratura cinematografica, più che teatrale.
Metti un regista che da anni frequenta le nuove drammaturgie contemporanee, con un occhio alla commedia sociale, ai giovani autori e alla creazione scenica collettiva.
Metti un testo fresco, tocciato in salsa politically uncorrect, sulle tematiche di genere e sulle forme destrutturate della passione amorosa nel nostro tempo.
Ecco come nasce l’idea di N.E.R.D.s – Sintomi, testo e regia di Bruno Fornasari con Tommaso Amadio, Riccardo Buffonini, Michele Radice e Umberto Terruso, in scena fino a fine settimana al Teatro Filodrammatici di Milano.
Quattro fratelli si ritrovano (alcuni accompagnati e alcuni no) all’anniversario di matrimonio degli anziani genitori.
Vecchie ruggini, intrighi omo con altri invitati. Confessioni di gravidanze nel cesso del residence. Scondinzolare di cagnolini invisibili e papere a grandezza umana.
Come per il recente allestimento di Brutto, possiamo parlare di una regia vivace, nodreuropea, con un testo divertente composto di sketches, con Fornasari che ha compiutamente preso coscenza del tempo scenico del tipo di teatro in cui riesce meglio, ed ha scritto un testo a misura perfetta delle sue esigenze e intenzioni, oltre che quelle del gruppo di attori con cui ha scelto di portarlo in scena, ovvero i rodati Tommaso Amadio, Riccardo Buffonini, Michele Radice e Umberto Terruso, che lavorano bene insieme e con un risultato apprezzabile considerati gli intenti registi.
Le scene e i costumi di Erika Carretta proiettano il tutto in una dimensione plastificata e da sit com, ben lontana dalla verde e ventosa contea inglese in cui la storia è ambientata.
La storia, dicevamo, quella di un 50imo anniversario di matrimonio, l’anziana coppia che non appare mai in scena, mentre arrivano nella sala cerimonie all’aperto, con tanto di laghetto e paperelle, i quattro figli maschi. Ma subito si capisce che il tema della gender specificity sarà un leitmotiv dello spettacolo, perchè oltre al gay dichiarato un outing e una gravidanza inaspettata movimenteranno, insieme ad antiche ruggini e bullismi relazionali, tutto l’outdoor della festa.
Il tutto senza che gli anziani genitori si palesino mai, salvo non voler parlare di quanto accade al termine della replica, cosa su cui tuttavia eviteremmo di dare dettagli in quanto particolare scelta registica sul finale della storia.
Questo cameo finale, pur non determinante ai fini dell’esito drammaturgico e puro divertissement, aiuta a definire con maggior precisione il focus generazionale su cui lo spettacolo punta il faro, concentrandosi su una generazione evidentemente liquida e senza una prospettiva di stabilità emotiva di lungo corso.
Nel breve lasso dello spettacolo tutti i rapporti si destabilizzano, si restaurano, si modificano senza cambiare o cambiano senza modificarsi, in una sorta di pansessualità che tutto avvolge e travolge, spostando ad ogni passo di un passo il confine dell’accettabilità sociale e della convenzione.
Così, alla fine, davvero la ragazza incinta che confessa con le braghe calate nel bagno della sala ricevimenti all’amico gay di attendere un figlio da lui, e dopo un po’ il tutto si ricompone in una tranquilla dinamica di famigliola allegra, mentre dall’altra parte del parchetto succede di tutto, ecco, tutto questo fa via via svanire le risate iniziali in un’amarezza dolorosa che rimane bilanciata quasi sempre.
A volte c’è qualche pigiatina sul pedale della didascalia del concetto, su cui si potrebbe andare con piede più leggero, nel senso che anche il non dire a volte può essere una virtù.
Ma questo detto, N.E.R.D.s si fa godere ed è un buon passo verso un codice di scrittura e di regia che porta a Fornasari un significativo riscontro di pubblico, e in prospettiva un suo esito anche come drammaturgo su un tipo di scrittura su cui in Italia manca forse una penna ispirata e consapevole del teatro come meccanismo oltre che come luogo della finzione creativa, un meccanismo che ha delle regole, come proprio sul palco del Filodrammatici ebbe a dire qualche mese fa Jonathan Coe, scrittore di fama, commentando le difficoltà che aveva lui stesso avuto ad inventarsi poi autore di testi per il teatro dove ne era stato richiesto. La scrittura per il teatro ha delle regole. E queste regole sono tutte non scritte.