FRANCESCA GIULIANI | Ingmar Bergman in Fanny & Alexander rende omaggio al teatro e all’apparenza teatrale di persone che si muovono tra realtà e immaginazione. Il film si apre su un teatrino giocattolo e Alexander e si chiude con Il sogno di Strindberg che recita: “Tutto può avvenire, tutto è possibile e verosimile”. Nel Flauto magico dello stesso regista una bambina dai capelli rossi osserva costantemente ciò che avviene con il volto che sembra bucare lo schermo; nello stesso le prime inquadrature sono i visi di spettatori che guardano la messa in scena, che è poi un’opera registrata per la tv svedese. Maria Anna, sorella di Mozart, scriveva in una lettera che quando erano bambini Amadeus si era inventato un gioco, “das Königreich rücken” il reame del didietro, dove non c’era spazio per gli adulti e lui era il re. Nel Flauto Magico l’Amore è il tema principale e, affiancato dalla Musica e dall’Arte in toto, è l’unico vincitore nella lotta tra il Bene e il Male. Sono i primi indizi e l’elenco potrebbe continuare ma è sufficiente per dire che tutto questo, e tanto altro c’è nel Flauto Magico dei Fanny&Alexander, alle prese per la prima volta con la messa in scena di un’opera lirica.
La trama del Singspiel di Mozart è molto semplice, quasi una fiaba: un rapimento, un principe salvatore, una serie di prove e il trionfo dell’amore. Alla Regina della Notte (Christina Poulitsi, in scena) viene rapita la figlia Pamina (Maria Grazia Schiavo), dal crudele sacerdote Sarastro (Mika Kares) ma il giovane principe Tamino (Paolo Fanale) con l’aiuto di Papageno (Nicola Ulivieri), il buffo uccellatore della Regina, e tre Dame tenta di trovarla. Nel regno di Sarastro scopre Pamina. Fine primo atto, inizio secondo, il mondo si capovolge. Il sacerdote è buono, la regina cattiva, Tamino e Pamina sono innamorati così come Papageno e Papagena; superate tre prove Tamino e Papageno trovano la felicità con le loro innamorate.
Fin da subito il regno di Sarastro ci avvolge. Nel Teatro Comunale di Bologna, che ha ospitato il Flauto Magico per la regia di Luigi De Angelis, la drammaturgia e i costumi di Chiara Lagani e la direzione musicale di Michele Mariotti, non sono semplici maschere ad accoglierci ma un coro di “sacerdoti” che recano sugli abiti la targhetta “Teatro di Sarastro”. Come aiutandoci a varcare la soglia della rappresentazione ci danno i primi indizi di ascolto e visione.
Occhialini alla mano pronti a indossarli al primo richiamo veniamo travolti dalla foresta che fuoriesce dal video, creato da ZAPRUDERfilmmakersgroup, andando a sfiorare uno a uno gli spettatori. In questa sensazione d’immersione iniziale il corpo è penetrato dalla visone di due bambini che dalla profondità si avvicinano allo schermo come se volessero uscirne. Come giganti immobili ci guardano, sorridono con sguardi di sfida o aggrottano gli occhi nel tentativo di capire qualcosa che sembra indefinibile. Sono un bambino e una bambina che vestiti come marinaretti citano i due predecessori del film bergmaniano, che è anche ispiratore del nome della compagnia, Fanny&Alexander. Si avvicinano e trovano un teatrino giocattolo che, seguendo per filo e per segno l’immaginario del regista svedese, reca le stesse scritte del “teatro” di Alexander, che a sua volta ripeteva il motto del Teatro di Copenhagen, “EI BLOT TIL LYST”, “non solo per il piacere”. Iniziano a giocare. Un drago/dinosauro e un uomo combattono. Il drago/dinosauro punta verso lo schermo, esce e appare Tamino in carne ed ossa che scappa. Siamo dentro il Flauto Magico. “Dove sono? Questo è un sogno o la realtà?”, dice Tamino racchiudendo in questa frase tutta l’opera e la messa in scena stessa.
Fin dall’ouverture quella doppiezza, che già si fonde nel nome della compagnia ravennate, una doppiezza che allude alle possibili trasfigurazioni di realtà mescolate nell’ambiguità di immaginari che confondono il buio con la luce attraverso alternanze o eccessi di bianco e di nero, tende a evidenziare il tema portante del Flauto. Ed è in questo stesso gioco di luce e buio che i giochi di ombre si alimentano, che il teatro stesso si fonda e che la fotografia si basa. E siamo proprio in un teatro, dove la scena si costruisce finzionalmente su proiezioni; il gioco è quello di due bambini che sembrano immaginare l’opera davanti ai nostri occhi azionando attraverso desiderose occhiate, ironici sorrisi e inquietanti bronci i corpi dei cantanti che in scena appaiono come piccole marionette viventi; e la fotografia è l’idea che fa da sfondo all’impianto scenografico, ideato da Nicola Fagnani sull’apertura chiusura di un sorta di gigante diaframma che varia di colore e forma a seconda dello sfondo/mondo che ospita. Varcando non solo la profondità dello schermo ma del teatro stesso i livelli interagiscono. Il teatro e il proscenio ospitano il regno rosso di Sarastro accompagnato dal feroce Monostato. Il fondo ospita il regno blu/nero della Regina della Notte. A metà, la foresta, l’otturatore verde e lo schermo che ospita il video animato attraverso la tecnica cinematografica dell’anaglifo (3D).
“Dove sono? Che cosa vedo? […]” si chiede Tamino mentre i due bambini nello schermo continuano ad osservare e nell’osservare è come se guardassero attraverso la loro fantasmagorica immaginazione ciò che avviene duplicandolo e duplicandosi loro stessi negli altri bambini presenti in scena tra gli schiavi di Monostato o nei tre fanciulli che fanno da guida al viaggio di Tamino e Papageno durante la risoluzione delle tre prove.
È nell’ambiguità dei segni che si fonda quest’opera di Fanny&Alexander, nell’enigmaticità di uno sfondo nel quale l’avvicinamento alla verità crea doppi significati e molteplici visioni. E la rappresentazione, palesando la sua finzione di gioco fanciullesco, avviene e si fa necessariamente reale.