FRANCESCA CURTO e VALENTINA SORTE | In occasione della seconda edizione del Festival Ritorno al Futuro, Brescia guarda al teatro giovanile e sceglie lo Spazio teatrale Idra e il Teatro Santa Chiara per ospitare le produzioni teatrali di sei nuove creatività lombarde: Raffaella Agate, C&C Company, PietraTeatro, Luilebaciò, CampoverdeOttolini e La Confraternita del Chianti. Attraverso il tutoraggio di sei residenze teatrali appartenenti ad Associazione Etre, le giovani compagnie sono arrivate a presentare lavori interessanti ed originali.

Ad inaugurare Ritorno al Futuro il 21 maggio è stata, presso la Residenza Idra, Raffaella Agate con “La mia gamba sinistra”, il primo spettacolo da lei firmato, approdato a Brescia con la collaborazione di Ilinxarium. L’attrice e danzatrice coniuga in una sola performance le sue due passioni dando vita al personaggio super caricato di Laura Bonola-Bestetti, repressa e diritta rampolla dell’omonimo studio legale che insegue le taciute pulsioni solo attraverso la gamba sinistra. Con un pizzico di trasgressione, a tratti eccessiva e ingiustificata, la Agate ci racconta desideri e punizioni, marce eccitanti e imposizioni, che hanno trasformato Laura nella promettente marionetta in rima dello studio Bonola-Bestetti.

MG_0744Alla provocazione danzante dell’Agate, fa seguito al teatro Santa Chiara lo spettacolo di teatro-danza “Tristissimo”, seconda produzione della trilogia del dolore, che C&C company porta in scena con l’aiuto di Residenza Idra. L’atmosfera deprimente richiamata dal titolo è subito evocata dalla nebbia fitta che accoglie lo spettatore in sala e che precipita, grazie alla musica mistica che la accompagna, in un’atmosfera onirica e rarefatta. Sul palco da Balletto Civile arrivano Carlo Massari e Chiara Taviani, che tagliano la nebbia con i loro corpi nudi e imparruccati, due moderni Adamo ed Eva biondi. Cominciano la vestizione e una giornata particolare, un blue monday che raccontano con il corpo. Con la loro innovativa modernizzazione del dramma wagneriano di Tristano e Isotta colpiscono per la visione impattante ma non altrettanto con il senso. Di triste rimane giusto il titolo di fronte a parecchi momenti irriverenti. La cura dei particolari è quella che rimane più impressa: una scenografia “pelosa”, richiamata da parrucche che si evolvono in trecce chilometriche, geoidi di capelli e yeti che ballano.

Ad aprire in modo inaspettato la seconda giornata del festival è “Senso” di PIETRATeatro che propone agli spettatori un percorso sensoriale straniante e allo stesso tempo intimo. Molto diverso l’approccio con il pubblico pensato da Luilebaciò in “GRADI KÆLVIN”, nella seconda parte della serata. Avvalendosi di un codice performativo eclettico, che accoglie performance fisiche, danza e ricerca sonora, la giovane compagnia tenta una riflessione personale sul tempo e sulla morte. Nonostante la severità dei temi affrontati, la scrittura scenica è vivace e ironica, molto leggera. Si passa da una divertita e frenetica corsa nel tempo, fra passato e futuro, a una coreografia, in cui i corpi dei performer diventano a intermittenza stroboscopica ingranaggi di un orologio. Luilebaciò affronta anche la spinosa questione della morte targata  2.0. Gli spunti sono numerosi e interessanti, ma lo spettacolo soffre di una certa bulimia e manca una ra unità d’azione. La regia è infatti firmata collettivamente. Le scene hanno un forte impatto visivo e sono curate, ma il pubblico non ha il tempo di metabolizzarle è a rischio di indigestione. Luilebaciò è comunque un gruppo pieno di potenzialità e un palcoscenico come Ritorno al futuro è un’occasione preziosa per capire come dosare la propria creatività.

diada-5CampoverdeOttolini e La Confraternità del Chianti chiudono la terza e ultima giornata del festival bresciano con, rispettivamente, “DI A DA” e “La bottega del caffè”. I primi presentano, sotto forma di studio, un monologo liberamente ispirato all’Antologia di Spoon River, in cui il protagonista è un essere ingenuo e autocentrato, chiuso nei mondi che inventa e incapace di accogliere la propria alterità. Marco Ottolini solo in scena dà vita alla sfrenata immaginazione di ME. Basta poco – dei cocci di legno, dei fili e dei pupazzi, dei suoni – per ricreare ambienti acquatici o città immaginarie: protesi dell’io, tanto affascinanti quanto precarie. L’atto creativo si rovescia presto nel suo opposto. Tutto implode e ME si trasforma in un inconsapevole distruttore, delle sue creature e di sé. Elisa Campoverde appronta un’originale riflessione sul potere ma non si coglie ancora chiaramente la direzione della sua ricerca. Allo stesso modo la relazione tra il personaggio e il pubblico in sala non sempre è facile da decifrare. Siamo quindi curiosi di vedere come si svilupperà questo primo studio. Il debutto è previsto per la seconda metà dell’anno.

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  1. […] reportage/recensioni di Valeria Nicoletti di Klp, Maria Lucia Tangorra di Teatro&Spettacolo e Francesca Curto e Valentina Sorte di Paneeacquaculture che ringraziamo infinitamente) e quello che si dirà. Evviva tutti gli artisti, gli organizzatori, […]

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