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IRIS BASILICATA | Il topo comune (Mus musculus) ha un ciclo di vita breve: da uno a tre anni. Questo simpatico roditore divenne leggenda già ai tempi di Esopo che dedicò una favola al topo di città e al topo di campagna. I topi di città sono più evoluti, si sa. Fanno l’happy hour, si incontrano con gli amici dopo lavoro, giovedi calcetto. A volte vanno anche a teatro. Insomma, una vita divertente e ovviamente non si stanno lasciando assolutamente scappare il Roma Fringe Festival che seguono numerosi.

In questa prima settimana insieme ai nostri amici roditori abbiamo seguito i primi spettacoli che partecipano alla manifestazione, che pare essere incominciata con una festa iniziale un po’ sottotono. Si è ripresa però alla grande con lo spettacolo Cara utopia della compagnia Nuove Officine. Una emozionantissima Claudia Crisafio veste i panni di una anziana signora pugliese con una vita devastata. Il sogno di diventare una cuoca la accompagna per tutta la vita. Sul piccolo palco appesa ad un filo c’è una carinissima casa delle bambole in plexiglass che ospita una cucina in miniatura. Piccola ma curata nei minimi dettagli, come il sogno che la protagonista Pasqualina Losacco ha coltivato per una intera esistenza. Piegata dagli anni e dalle ingiustizie subite ci racconta, probabilmente in una stazione ferroviaria, tutta la sua vita proteggendo il suo sogno fino alla fine. Claudia Crisafio è sola in scena ma intrattiene il pubblico per quasi un’ora con una storia agrodolce, in cui si inframmezzano racconti di gioventù con ricette tipiche pugliesi. Inevitabilmente lo spettacolo mette una gran fame. Si piange. Piangono anche i topi che cambiano palco per poi assistere ad Ammazzali, testo messo in scena dalla compagnia salernitana Scena Teatro. 3 giovani fratelli (Cesare D’arco, Victor Stasi e Alessandro Tedesco) giocano ad inscenare l’omicidio dei proprio genitori. Sul palco cerini accesi come per assistere ad una veglia funebre fanno presagire un clima grottesco che accompagna tutto lo spettacolo. Si aziona una giostra infernale di scontro tra genitori-figli in cui non ci sono vincitori ma solo vittime. I tre ragazzi che a turno giocano ad essere il loro padre o madre si ritrovano schiavi del loro stesso gioco che pare non avere mai fine. Cresciuti da genitori troppo severi hanno come unica via di fuga quella di poter solo immaginare la morte dei loro vecchi che però anche nel gioco sembrano avere la meglio. Lo spettacolo, ad essere sinceri, mette un po’ d’ansia e anche un po’ di magone per questi tre giovani che non riescono a lasciarsi alle spalle il loro passato.

Sempre in compagnia dei nostri roditori cambiamo palco e con questo anche genere: marionette corporee. Cosa diavolo sono le marionette corporee? Ce lo spiega Ludovica Sistopaoli con il suo spettacolo Miasmi, una specie di favola moderna che ha per protagonista una bambina di nome Salamè emarginata dai suoi compagni di scuola. La Sistopaoli è sola in scena. E dove sono le marionette, allora? Sul suo corpo. I personaggi disegnati con un pennarello prendono vita sulle sue gambe, sulle braccia e anche sulla schiena. Lo spettacolo, che sembra quasi una favola moderna, racconta di una piccola grande rivincita personale della piccola emarginata. Il finale macabro, però, non la fa rientrare di certo in quelle storie da raccontare ai bambini prima di andare a dormire.

FullSizeRender-2Forsennatamente cambiamo palco proprio come il nome della compagnia Teatro Forsennato per assistere a Gli ebrei sono matti. Dario Aggioli e Guglielmo Favilla interpretano Enrico e Ferruccio, due uomini rinchiusi in un manicomio durante il regime fascista. Uno è un vero matto che ripete a memoria i discorsi di Mussolini, l’altro un giovane ebreo toscano che tenta la fuga. Sul palco nulla, se non due sedie e una borsa piena di maschere di cartapesta che ad Enrico ricordano i suoi genitori. Ferruccio cerca di sfuggire alle leggi razziali confondendosi tra i matti del manicomio e cercando di imitarne tic e movimenti. Dario Aggioli è straordinario nel sembrare un matto vero dotato di una tenerissima innocenza e sensibilità: lui sa benissimo che se sta «zitto zitto, bono bono» i suoi genitori verranno a riprenderlo. Uno spettacolo esilarante e commovente al tempo stesso, che insegna che «i segreti sono come i regali», vanno custoditi con cura.

Alla fine di ogni spettacolo il pubblico vota. Voto anche io (non riporterò le mie preferenze, il voto è segreto e sacrosanto) e mi incammino verso casa, a metà strada tra la luna e Castel’ Sant’ Angelo. Anche il signor topolino di città torna a casa sua, lì tra i “rifiuti organici” e “carta&cartone”. E mentre lo guardo arraffare una cena di fortuna che ha appena trovato lasciata lì da chissà chi penso a questa prima settimana di Fringe Festival appena conclusa. Squiiiiitt!!