ELENA SCOLARI | Madame Bovary è una provinciale. E non riuscirà mai completamente a scrollarsi di dosso questa origine, viene dalla campagna e la città non la adotterà mai veramente.
Metri di ventagli, nastri e trine costose non basteranno a fare della figlia di un fattore una cittadina à la page.
Teatro della Caduta cambia una sola vocale e trasforma Madame in Madama, così Lorena Senestro rilegge con intelligenza il romanzo di Flaubert e fa parlare Emma in dialetto piemontese, rivestendola così di una incancellabile patina di periferia.
Lo spettacolo della compagnia torinese gode di un adattamento drammaturgico molto attento: un montaggio incalzante dei punti salienti della trama legati tra loro da alcuni inserti di Gozzano, da pochi e discreti riferimenti contemporanei niente affatto fuori luogo e dall’alternanza di italiano e dialetto, un dialetto del nord, solo un po’ sguaiato ma che subito semplifica, inchioda la Madama all’evidenza del parlare popolano, un parlare che cancella le illusioni perché la riporta con uno strattone alla provenienza contadina.
Lorena Senestro indossa un costume di raso giallo dorato, lucido, elegante, sì, ma in vita porta una povera cordicella. La scena è vestita solo delle luci di Roberto Tarasco, delle musiche di Eric Maestri e della bella regia di Massimo Betti Merlin e Marco Bianchini che sanno rendere l’atmosfera angosciosa quel che basta per farci capire che la Bovary farà una brutta fine, come è chiaro fin da subito anche nel romanzo.
La recitazione è salda, sa fluttuare tra il disgusto e l’apparente felicità, l’illusione bambinesca e la disperazione, l’ironia paesana e la carnalità della passione. L’attrice maneggia l’alfabeto dell’interpretazione con agilità e fantasia. Chapeau, come direbbero a Paris.
E a Parisss – con la s sorda che sibila – è dove la disgraziata Emma vorrebbe vivere, e morire. Parisss è il teatro, il lusso, la società, la mondanità, gli abiti sfarzosi e le carrozze decorate, i cappellini vezzosi e la compagnia di uomini eleganti, colti, non come lo zotico marito Charles, medico tanto buono e infinitamente devoto ma, santo cielo, russa come un trattore e la sua conversazione è talmente piatta…
Invece Léon, che ama la musica, conosce la letteratura, con lui sì che le ore volano e le menti si esaltano, a Rouen, accettabile surrogato di Paris, ma quanto durerà?
Lo slancio diverrà prima abitudine poi ossessione, malattia. “Non si devono toccare gli idoli: la doratura ti resterà sulle dita”.
Emma alimenterà una temporanea e fasulla soddisfazione con lo sperpero dei soldi della famiglia Bovary, tutti spesi in stoffe, cappelli, tende e oggetti alla moda per dare alla dimora provinciale l’aspetto di un appartamento di città, ma anche questo non la renderà felice.
Alle modeste feste del villaggio Emma osserva una signora gallina che si pavoneggia, le maniche gialle di raso diventano subito le ali e l’imitazione è tanto buffa quanto malinconica, non ritroverà mai l’incanto di quell’unico ballo a palazzo, dove le giravolte del valzer la fecero volare con l’anima fino a Parisss, sì.
Parisss, che ripetuto e ripetuto suona come “spariss”, “sparisci” e infatti Emma sparirà, insieme al suo sogno di città, nel veleno bianco della morte, nel villaggio di Yonville.