IRIS BASILICATA | Wikipedia dice che l’ossessione è uno stato psicologico presente nel disturbo ossessivo- compulsivo. È questo il tema che accomuna in qualche modo gli spettacoli di cui si parla sotto. Al Fringe Festival, però, è bene ricordare che continuiamo ad essere ossessionati soprattutto dai topi che continuano a partecipare con assiduità ed entusiasmo agli spettacoli stavolta nascondendosi addirittura tra il pubblico.
Il nostro amico topo di città è stato con noi ad assistere a Fak- Fek- Fik – Le tre giovani, uno spettacolo decisamente strano. Nato dalla volontà di voler essere un sequel di Le presidentesse di Werner Schwab, drammaturgo austriaco che nella sua opera tragica e grottesca raccontava le vite e i sogni di tre vecchie signore, viene ripreso da Dante Antonelli che mette in scena tre esistenze allo sbando. Il pubblico è entusiasta e io mi sento assolutamente un pesce fuor d’acqua. Tre vite appese aal filo delle frustrazioni quotidiane di tre ragazze qualsiasi: il lavoro precario, le feste, il bigottismo religioso, l’altruismo esasperato, i soldi che non ci sono, la volontà di voler trasformare a tutti i costi la propria vita mediocre in qualcosa di fantastico. Tra le tre non ci sono dei collegamenti drammaturgici: potrebbero essere tre monologhi differenti e allo stesso tempo esserne uno solo.
Il testo, scritto collettivamente dalle tre attrici, vuole essere una via di fuga dai luoghi comuni. Ma mettere in scena un testo che senta l’esigenza di uscire dalla quotidianità, di urlare la vita triste e precaria di tutti i giorni non è diventato anch’esso, ormai, un luogo comune? Peccato, perché la potenza in scena delle tre attrici è qualcosa di straordinario, salvo quando si arriva al fatidico momento in cui si spogliano rimanendo completamente nude. Il nudo in scena è ancora, veramente, una provocazione necessaria? Tutto rischia di sembrare un luogo comune che sfugge dai luoghi comuni.
Sul palco non c’è nulla, se non tre buste e tre tazze utilizzate in pochissimi momenti.
Gli applausi scroscianti del pubblico mi lasciano un po’ interdetta, non so di preciso cosa ci si possa portare a casa, se non il ricordo di un bellissimo lavoro attoriale. Ma il testo è davvero così sconvolgente?
Con SaturAzione, invece, ci troviamo di fronte ad una performance artistica. Il pubblico non è seduto ma è libero di potersi muovere attorno ai lati del palco per osservare meglio ciò che accade. Siamo apparentemente all’interno di un museo e i quattro attori sono delle statue che ci vengono descritte da una voce fuori campo che censura, però, i loro titoli. All’inizio viene un po’ da sorridere: chi da bambino trovandosi in un museo non si è messo immobile fingendo di essere una statua? I performer sono seduti su scale, scaletti e carrelli che non sembrano avere un reale collegamento con il luogo in cui vogliono farci immergere. Poi, tutto prende vita: le statue escono dalle loro postazioni invadendo gli spazi altrui tirando fuori da degli scatoloni lattine, scatole di pop corn, caramelle e baguette. Inizia una spietata lotta col cibo, all’inizio visto come un gioco per poi trasformarsi in un girone infernale in cui l’avidità del mangiare si fa sempre più ossessiva. Potremmo essere ovunque e in nessun luogo: quello che sembra essersi trasformato in un ipermercato, grazie all’ausilio di una voce che sponsorizza prodotti su prodotti, si trasforma poi in un luna park dell’orrore. Gli attori si spogliano (anche qui!), si spalmano addosso Nutella, mangiano convulsamente patatine e caramelle gommose, diventando delle installazioni viventi che trasmettono un profondissimo senso di inquietudine.
Gli attori sono tutti neodiplomati della scuola del Piccolo di Milano e hanno voluto cimentarsi con uno spettacolo in cui non fosse la parola a prevalere (non c’è testo infatti), bensì il corpo.
Attori performer che diventano istallazioni viventi in tempi forse un po’ troppo dilatati. Odore di Nutella misto a patatine ovunque.
Passiamo poi a All- in, uno spettacolo di Roberto Nugnes sull’ossessione del giocarsi il tutto e per tutto. Il protagonista Ernesto accoglie, addormentato su una poltrona, il pubblico che prende posto.
Ernesto ha il vizio del gioco d’azzardo e si è ormai giocato tutto pur di assecondare il suo desiderio di volere sempre di più. Abbandonato dalla moglie e dalla figlia è nei debiti fino al collo. L’amico Ruggero cerca di aiutarlo proponendogli uno scambio che gli farà cancellare tutti i suoi debiti: un rene da donare al suo creditore per l’annullamento di oltre duecentomila euro di debiti. Uno spettacolo amaro che mostra il disfacimento fisico e psicologico di un uomo che ormai ha perso tutto, anche se stesso. Comico in alcuni punti che donano un po’ di ritmo alla scena, lo spettacolo è decisamente lungo trascinando il pubblico in un cambiamento temporale repentino forse un po’ azzardato.
Il protagonista è chiuso in gabbia come i suoi due animali domestici, le uniche cose che gli siano realmente rimaste. La sua vita è scandita da gratta&vinci. “Non dire mai ad uno sconfitto che è uno sconfitto se vuoi guadagnarti la sua dipendenza”. “Non hai vinto” è diverso da “hai perso”: ti dà la forza di perseverare per poi trascinarti in una strada senza alcune via di fuga. Una roulette russa devastante porrà fine al gioco che nel frattempo è diventato anche un po’ ansiogeno anche per chi guarda.
Nessuno può negare però di aver mai provato piacere nell’aver trovato sotto la striscetta argentata di un gratta&vinci la scritta “HAI VINTO”, anche se si trattava solo di 5 euro. “Hai mai vinto qualcosa, tu?” chiedo al mio ormai grande amico roditore, mentre prendiamo ognuno la strada verso casa. Non mi risponde ma sicuramente stasera ha vinto contro l’AMA Roma, perché continua indisturbato, proprio fuori il parco, a consumare la sua cena di fortuna.