IRIS BASILICATA | Nel 1805 il celebre poeta George Byron era uno studente del Trinity College di Cambridge. Amante degli animali e della natura tenne con sé, per un periodo di tempo, un orso nella sua stanza universitaria. La solitudine domestica viene compensata in vari modi, dunque. Byron la sconfisse con un orso domestico, Maggie invece, protagonista dello spettacolo Xenofilia, con un alieno venuto da lontano. C’è tantissimo pubblico ad assistere allo spettacolo della Compagnia Xenos, che è stato anche semifinalista al Premio Scenario 2015. Maggie, una ragazzina ingenua e svampita, incontra un alieno e decide di portarselo a casa. Nel buio del parco di Castel Sant’Angelo compare Lorenzo Guerrieri che sale sul palco travestito da alieno. Sguardo fisso, pelle bianca, ali, scarpe altissime, stile “cugini di campagna”. Sarà stato alto 2 metri. A prima vista, è da ammettere, incute molto timore. Maggie porta il suo nuovo amico nella sua camera invasa da scatoloni, che fanno intuire un trasloco imminente, per fare amicizia e insegnargli la sua lingua.
L’alieno fa rivivere a Maggie momenti della sua vita ogni qual volta trova un oggetto in stanza: utilizza le cose appartenute a persone che hanno fatto parte della vita della ragazza trasformandosi in quelle stesse persone che l’hanno resa infelice.
Il rewind di un passato non proprio felice porta la giovane ad avere un rapporto di amore e odio con questo strano essere. L’amore per il diverso è ciò che spinge Maggie a seguire l’alieno in tutto ciò che fa per sentirsi meno sola.
Lo spettacolo è una favola surreale sull’ incontro tra la vita e la morte. La morte che si fa vita nel suo nascere. Insomma, il discorso potrebbe sembrare molto complicato ma in realtà il finale palesa tutto chiaramente: il nuovo amico di Maggie è in realtà l’angelo della morte venuto a portarla via con sé. La stanza piena di scatoloni non è altro che l’anticamera di un viaggio da cui non si fa più ritorno. Il monologo finale dell’angelo che finalmente ha imparato il linguaggio di Maggie fa comprendere alla ragazza di essere alla fine della sua esistenza. Uno spettacolo che celebra la nascita della morte, rendendo un evento doloroso un po’ più dolce dall’incontro tra due esseri emarginati. Un inizio a tratti divertente che presenta lo spettacolo quasi come una parodia dei telefim americani che hanno per protagonisti dei vampiri si svela in realtà un biglietto per quel viaggio illimitato che è la fine della vita.
Passiamo poi ai veri emarginati sociali con L’orda oliva. Uno spettacolo di detenuti attori della casa di reclusione di Civitavecchia. Sicuramente non si può restare indifferenti di fronte ad uno spettacolo di una compagnia come quella di Sanguegiusto, formata da persone che sono alla fine di un percorso di risocializzazione e che quindi ben conoscono il sentimento della solitudine e dell’isolamento.
La storia racconta il lungo viaggio di clandestini (per una volta) italiani che vogliono emigrare in America per coronare il sogno di una vita migliore. Lo spettacolo per la regia di Ludovica Andò è tratto da Il lungo viaggio di Sciascia e da L’orda di Gian Antonio Stella. I testi sono stati poi rielaborati dai detenuti stessi che si sono ispirati a vissuti personali e improvvisazioni. Il sogno americano che si incrocia con le storie di tre uomini pronti a cambiare la loro esistenza. Il buio terrorizzante delle notti in mare è ricordato dalle piccole lampade che gli attori utilizzano per illuminarsi. Sulla nave immaginaria si suona, si studia l’inglese, si raccontano storie, si fantastica su come sarà questa “miss Liberty” di cui tanto si parla. Per i quattro avventurieri il tempo si ferma proprio come accade in carcere. È toccante vedere il lavoro svolto da persone recluse che cercano di reinserirsi nella nostra società. Detenuti e quindi emarginati che mettono in scena uno spettacolo che parla di altri emarginati. «Non servono abissi per sprofondare», questa la frase e l’insegnamento che ci danno questi quattro uomini che calcando il palco del Fringe Festival danno la possibilità a se stessi di prendere coscienza delle loro capacità.
Non servono abissi per sprofondare, basta accendere la tv e guardare i programmi insulsi di ogni giorno. Andrea Cosentino con il suo Telemomò ci fa vedere la televisione “fatta al momento”.
Aprendo la sua valigia, una specie di scrigno delle meraviglie che nasconde qualsiasi cosa, ci mostra come sia possibile trasformare la tv in uno spettacolo.
Un teatro animazione che interagisce con il pubblico e presenta i programmi di un normale format televisivo. L’attore utilizza gli oggetti più diversi per ricreare i normali programmi che ogni giorno guardiamo alla tv: barbie per la soap opera, parrucche, maschere di animali per i documentari, bambolotti per pubblicità progresso, bambole a “mezzobusto” che richiamano i telegiornalisti. Uno spettacolo che fa riflettere sulla televisione e sui programmi che ogni giorno ci propinano. La televisione è una cattiva maestra, tema affrontato in passato da Popper e da Pasolini. Soap opera in cui i personaggi tribolano per le loro vicende amorose e talk show in cui si intervistano improbabili personaggi che parlano dei loro nuovi libri. Esilarantissime le scelte adottate da Cosentino per rendere l’idea dei primi piani e dei campi lunghi con oggetti grandi e piccoli.
La grande agilità di Cosentino è stata soprattutto quella di interagire con il pubblico e con tutto ciò che accadeva all’interno del parco di Castel Sant’Angelo. Il bello della diretta della televisione diventa il bello della diretta del teatro. Problemi tecnici, tra l’altro frequentissimi durante le serate del festival, sono stati trasformati in vere e proprie gag grazie alla prontezza dell’attore. Inoltre, la sua pazienza è anche stata messa a dura prova da un allegro viavai di persone (non spettatori dello spettacolo, sia chiaro) molto irrispettose e molto poco educate nei confronti del lavoro altrui.