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ph Bettina Stoess
RENZO FRANCABANDERA | Un improvvisato set cinematografico, con cineprese vere. Assi di legno ancora in via di assestamento, un palco ancora da completare, luci traballanti per un set da finire. Alcuni sostituti degli attori stanno facendo una generale davanti a un pubblico di produttori e spettatori: cinque persone per cinque matinée.

All’improvviso l’annuncio di un virus che si diffonde in maniera incontrollabile in città. Nessuna informazione corretta. Solo l’ondata emotiva e le reazioni delle persone coinvolte. Ecco qui il plot di “5 Morgen”, le 5 di mattina, andato in scena per un’unica data secca al Piccolo Teatro Studio di Milano per la regia di Armin Petras, prodotto dallo Staatsschauspiel di Stoccarda.

E’ uno dei cinque spettacoli che fanno parte di TERRORisms, progetto di cooperazione internazionale avviato nel 2013 dall’Unione dei Teatri d’Europa che ha riunito cinque teatri in Norvegia, Germania, Serbia, Israele e Francia: il Teatro Nazionale di Oslo, lo Staatsschauspiel di Stoccarda, lo Yugoslav Drama Theatre di Belgrado, Habima – Teatro Nazionale di Tel Aviv e la Comédie di Reims. Il progetto ha dato vita a cinque pièce originali, punto di partenza per una serie di anteprime mondiali, scambi produttivi, incontri di lavoro, conferenze e dibattiti in tutta Europa e non solo, e che hanno in comune il fatto di trattare il tema del terrorismo attraverso prospettive differenti, affidate alla creatività di 5 drammaturghi contemporanei con differenti background, Fritz Kater (pseudonimo dello stesso Petras) a Stoccarda, Jonas Corell Petersen a Oslo, Milena Marković a Belgrado, Maya Arad a Tel Aviv e Aiat Fayez a Reims.
Il festival TERRORisms a Stoccarda (24-28 giugno 2015) ha poi riunito per la prima volta in uno stesso teatro i cinque spettacoli. Inoltre sono stati realizzati un e-book scaricabile gratuitamente per rendere disponibili i cinque testi in lingua originale, in inglese e in tedesco, e un numero speciale della nuova rivista elettronica E-Revue con articoli scritti da giovani giornalisti europei, commenti, interviste, foto, video e altri contenuti multimediali.

Torniamo in sala. Mentre le news informano in modo frammentario sulle regole di comportamento da seguire, i cinque personaggi sviluppano la propria strategia di sopravvivenza: Paul, consulente informatico, si barrica in casa e non lascia entrare nemmeno la moglie Loretta, per paura che sia contaminata. Lo scrittore e autore di un best seller, August, che insegna in una scuola di scrittura, e la dottoressa Julia, sposati ma sul punto di separarsi, vedono arrivare nella loro vita una studentessa del corso, Missy, che nonostante la bocciatura di August, finisce per amplificare con la sua presenza suadente le dinamiche esplosive già presenti nella coppia.

Fin qui la storia, con un finale però che sovvertirà le dinamiche, salvando chi era stato esposto al virus e condannando chi si era barricato.

La regia gioca su un codice in cui le video inserzioni dal vivo permettono attraverso dei back stage artificiali costruiti ad hoc (scene di Natascha von Steiger) di essere proiettati in modo da creare una moltiplicazione di luoghi e vicende che mantengono un respiro caotico e kitch.

La testualità e la recitazione si muovono quindi verso una logica di compenetrazione che il comune pensatore di entrambi dirige verso una deriva volutamente confusa e frammentata, quasi a voler esaltare l’animalità dei personaggi coinvolti anche se non mancano i clichè, i luoghi comuni.

C’è da dire, per altro verso, che gli interpreti Andreas Leupold, Holger Stockhaus, Anja Schneider, Katharina Knap, Manja Kuhl offrono una grandissima prova, sia singolarmente che nell’insieme, e il pubblico a fine spettacolo applaude convintamente la recita. In particolar modo il finale pare trascinare gli spettatori verso l’adesione all’operazione scenica, un finale che vira su note poetico-tragiche, dove il copione finisce sovraimpresso sui corpi ammalati e dipinti di bianco dei personaggi, con queste figure teatralizzate e spersonalizzate che assumono un valore immanente. Prima forse un maggior governo del testo e del caos scenico avrebbero potuto ridurre le non infrequenti fasi di stanca a tutto vantaggio di un maggior ritmo ed intellegibilità dell’operazione nel suo complesso, il cui fine ultimo di lasciar intendere come il terrorismo sia prima di tutto nelle nostre scelte accomodanti quotidiane, nelle nostre miserie, sarebbe venuto fuori chiaramente anche prima delle due ore complessive.

Detto questo, occorre anche dire che profondamente, la regia aderisce in modo netto ad un’estetica dell’arte scenica di cui in Italia abbiamo poche equivalenze. Forse solo Antonio Latella in alcuni suoi allestimenti ha spinto il rapporto fra testo e attori verso psicosi-nonsense lontanamente paragonabili a questa.

Con codici meno kitch ma ugualmente orientati alla rappresentazione della dissoluzione della società e dei suoi nessi fondanti, viene in mente l’opera recente di registi come Marthaler (Riesenbutzbach. Eine Dauerkolonie, ad esempio),  o possiamo ricordare una delle ultime messe in scena di Jürgen Gosch, “Hier und Jetzt”, testo di Roland Schimmelpfennig, andato in scena al Theatertreffen 2009. Anche in questi casi un clima soffocante, una durata estenuante, attori mossi da illogiche e irrefrenabili pulsioni quasi suicide, alternanza di ritmo e secche emotive, con testi non privi di un certo appeal nonsense, misto a poetica tristezza. I paragoni ovviamente non guariscono alcuni limiti specifici del testo e dell’opera in parola, ma ne permettono l’inserimento in un menù a tema nordeuropeo, il cui sapore di fondo pare dominare la cifra poetica dell’ultimo decennio. Alla fine non si salva nessuno. Una lunghissima sad song.