IRIS BASILICATA | Ok, il Fringe è finito. Sono state settimane intense, piene di teatro, risate e soprattutto topi e gabbiani. Quasi mi stavo affezionando a questi simpatici animali che frugano nella spazzatura e che hanno tentato di stare sempre in prima fila per godersi gli spettacoli come è accaduto, ad esempio, durante l’ultima serata dello spettacolo di Cosentino, quando uno di loro è schizzato tra le prime file per osservare meglio. Nell’ultima serata, però, li abbiamo visti muoversi celeri dietro i palchi: forse volevano far parte anche loro di quel mondo della prima guerra mondiale raccontatoci in Guerriere – tre donne nella Grande Guerra. Tre figure femminili ci raccontano la guerra dal loro punto di vista. Giorgia Mazzucato interpreta da sola tutte e tre le protagoniste: la donna soldato, che si intrufola tra i combattenti per lottare contro l’Austria e riporta tutto nelle sue lettere, Eva, proprietaria di un albergo in fissa per l’arte e Coco Chanel, e Franca, una donna semplice che aspetta il ritorno del suo Bruno dalla guerra. La Mazzucato si lancia in un’interpretazione favolosa e lascia tutti senza fiato. Le gradinate di Castel sant’Angelo sono gremite di gente che sorseggia la sua birra senza distrarsi un attimo. Tre donne forti e sorridenti. Sorprende all’inizio la passione e la felicità che i personaggi mostrano nei confronti della guerra, vista come motivo di ascesa sociale, di orgoglio e di rinnovamento perché ha reso l’Italia un Paese di donne. Poi il dolore, la tragedia, la perdita.
Il finale è focalizzato sulla donna- soldato: l’Italia avrà pure vinto la guerra ma lei ha perso per sempre le sue gambe. L’attrice stesa su un letto sembra davvero monca, tanto da far impressione. La guerra ha portato via la quotidianità, la dignità, l’amore, la bellezza e la libertà. Se ognuno di noi si sforza di ricordare i racconti dei propri nonni, di quelli che la guerra l’hanno fatta davvero, non può non provare un pizzico di tenerezza. Bravissimi anche i musicisti che hanno accompagnato lo spettacolo con musica dal vivo.
Dall’Italia passiamo a Parigi con Les Aimants della Compagnia Mangano-Massip. Uno spettacolo di teatro fisico vede i due attori, Pierre Yves Massip e Sara Mangano, vestiti anni 50 esibirsi in una danza continua (forse un po’ troppo lunga) i cui corpi si attraggono l’un l’altro come calamite. È bellissimo guardarli: sembrano i protagonisti di uno di quei cartoni della Pixar che danno al cinema, prima che il film inizi, in modo da dare al pubblico la possibilità di comprare i pop-corn. I due si incontrano, si scontrano, ballano, si amano e si perdono sulle note di musiche romantiche.
Lo spettacolo è per la prima volta in Italia al Fringe Festival e ha già vinto nella sua forma corta il premio di interpretazione al Be festival di Birmingham, girando poi il mondo con molto successo. I due attori si sono ispirati alle poesie di Prévert: è semplice infatti riconoscere, tra le altre, il richiamo alla poesia Alicante i cui famosi versi recitano “Un’arancia sul tavolo il tuo vestito sul tappeto e nel mio letto, tu”, versi che chissà quante volte abbiamo letto in un libro, o in casi meno fortunati, nel bagno di un autogrill. Il duo cattura per i suoi movimenti di danza, ma lo spettacolo è decisamente troppo lungo e la scia di romanticismo che dona al pubblico viene cancellata da un radicale abbassamento di attenzione. Pierre-Yves Massip vince il premio come miglior attore.
Gli altri due spettacoli in finale sono già stati visti dai nostri amici topi: per rinfrescare la memoria ricordiamo Gli ebrei sono matti della compagnia Teatro Forsennato con Guglielmo Favilla e Dario Aggioli, il quale ha ricevuto anche la menzione speciale della giuria. Il premio è strameritato per la bravura di Aggioli nell’interpretare un uomo disturbato rinchiuso in un manicomio al quale ci si affeziona come a Forrest Gump.
Abbiamo poi Fäk Fek Fik – Le tre giovani della compagnia Compagnia collettivo Sch.lab: è questo lo spettacolo vincitore del Fringe Festival 2015. La compagnia ha ricevuto anche il premio per la miglior drammaturgia e per la miglior attrice (attrici, in questo caso). Sicuramente uno spettacolo che farà molto parlare di sé per i forti temi affrontati sull’insoddisfazione, l’inadeguatezza e la vita mediocre dell’umano medio. Tre monologhi di tre vite allo sbando che si incrociano senza però incontrarsi mai. Le ragazze pur essendo di una bravura e di una potenza scenica nltevole sono però oscurate dall’uso di battute dalla risata facile, con richiami a pubblicità e a modernismo talvolta ridondanti. Uno spettacolo- provocazione nel quale però non credo di essere riuscita a cogliere totalmente la provocazione.
Bene, il Fringe è finito. Cosa resta adesso? Indubbiamente una cartellina trasparente piena di flyers, pass, volantini, numeretti dei biglietti strappati e un omaggio birra che non ho fatto in tempo a consumare. Andando via dal parco di Castel Sant’Angelo a notte ormai inoltrata e con un sottofondo dei festeggiamenti dei vincitori che si fa sempre più lontano penso a tutti gli spettacoli che ho visto in questi trentasette giorni, a tutti quelli che ho compreso e non, a quelli che ho amato, odiato, a quelli dove c’era gente e a quelli che avevano si e no 10 persone di pubblico. Penso al buio del parco, al verso dei gabbiani (che ancora non ho capito quale sia) e ai topi, che sono stati ogni giorno più numerosi e ci hanno accompagnato in queste settimane di teatro. Un gabbiano mi cammina accanto. Ha un topo in bocca. Il mio spettatore preferito mangiato vivo. Peccato. Chissà se un topo potrà mai recitare. Per ringraziarlo della sua costante compagnia di questi giorni non mi resta che salutarvi, per l’ultima volta, con un altro “SQUIIIIIIIIT!!!”.