MICHELA MASTROIANNI E RENZO FRANCABANDERA | Nel segno della musica si è mossa la ripresa a Giugno di Stanze, il progetto di teatro d’appartamento ideato da Alberica Archinto e Rossella Tansini, il cui merito innegabile consiste in una sapiente operazione di scouting combinato ambientale-artistico, che attraverso il teatro dona nuovi riflessi a luoghi meravigliosi di una Milano (e non solo) difficilmente esplorata. Ed eccoci a raccontare due date di giugno, interessanti per ragioni differenti.
Il primo appuntamento si è dato nel salotto della casa-museo Boschi Di Stefano, zona Buenos Aires, divenuta nel 2003 sede espositiva di parte della straordinaria collezione di oltre duemila opere, donata al Comune di Milano nel 1974 dalla coppia.
L’atmosfera raffinata ed intima della casa aveva già affascinato il pubblico della rassegna ospitando a novembre Il posto, il primo studio dell’ultimo progetto di Deflorian e Tagliarini Il cielo non è un fondale. Questa volta è di scena Toni Laudadio, interprete potente e commovente del dialogo per voce e musica Šostakovič il folle santo, scritto da Antonio Ianniello e Francesco Saponaro che ne cura anche la regia e l’allestimento dello spazio scenico.
Uno Šostakovič sfinito dalla malattia e dalla vecchiaia, ma non sconfitto, entra con passo lento ed incerto nella stanza, poi siede sulla poltrona accanto al pianoforte, e racconta la sua vita. Accanto alla poltrona un telefono, attraverso il quale Šostakovič ha gli unici contatti con il mondo esterno, da cui riceve informazioni o attraverso il quale gli vengono poste domande che fanno da pretesto al dipanarsi della narrazione autobiografica, che mette a fuoco per frammenti le questioni centrali dell’esistenza del musicista sovietico senza un rigoroso ordine cronologico ed accompagnate da brani tratti dalle sue opere. La sua passione inesausta per la composizione e la dedizione all’insegnamento. Il conflitto con il potere e la stroncatura staliniana che lo taccia di creare “Caos anziché musica”. La fuga da Leningrado, sua città natale attaccata dai Nazisti, città alla cui strenua resistenza dedica la sinfonia n.7. La paura di essere denunciato, imprigionato o ucciso insieme alla famiglia, come era accaduto a molti dei suoi amici, vittime della feroce censura politico-culturale staliniana, che si abbatte contro gli artisti, gli scrittori e i compositori. L’accusa di comporre musiche “perverse, formalistiche ed antipopolari” e il conseguente dolorosissimo allontanamento dall’insegnamento nei conservatori di Mosca e Leningrado. La sincera adesione agli ideali della rivoluzione di Lenin e la critica al loro tradimento da parte della oligarchia di partito. Del personaggio emerge a più riprese lo sguardo ironico ed autoironico con cui rilegge la storia che ha attraversato e la resilienza che gli consente passare oltre Stalin, la cui inumana crudeltà segna il secondo movimento della decima sinfonia, composta appunto dopo la morte del dittatore. La resilienza, si diceva, ma anche la vodka, anestetico per l’anima, lo aiutano a sopportare il dolore e la paura. Una bottiglia del potente superalcolico, una maschera di cartone di Stalin con cui si copre il volto per declamarne con tono enfatico la prosopopea, carta da musica e una matita, con cui continua a tracciare le parti per gli strumenti della sua ultima composizione, degli occhiali dalle lenti spessissime e quasi opache, tormentati e riassestati sul volto: sono questi gli oggetti con cui Ludadio, dal 2010 costruisce in modo convincente il personaggio del musicista, che tra le note della sua musica si alza dalla poltrona ed esce ancora più lento ed affaticato del suo ingresso, svanendo dietro una porta a vetri.
Passa qualche giorno. Siamo ancora a Milano. L’odore fresco e deciso della menta si sprigiona dalle foglie che io (Michela) stropiccio un po’ tra le dita mentre mi accovaccio su una coperta distesa sul prato che cresce sul tetto del Superstudiopiù in via Tortona, cuore pulsante del fuori Salone, del fuori Expo ecc. Sono già tutte occupate le sedie sistemate sotto la cupola geodetica in bambù realizzata, ad integrazione del progetto Coltivare la città, sopra il cerchio centrale del simbolo del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto. La luce serale nel cielo di giugno e un vento leggero che ci induce a coprire le spalle sembrano quasi dare concretezza a tutti i paradigmi filosofici ed estetici a cui questa risaia sul roof fa da cornice e da pretesto. Lascio che il profumo della menta, uno dei dieci odori fondamentali della percezione olfattiva secondo un recente studio di tre ricercatori statunitensi, evapori portato via dal vento, poi mi annuso le dita. Gli odori sono quelli giusti.
Siamo in campagna. Ma l’illusione sensoriale di vista, tatto e olfatto è rotta dal rumore invadente del motore di un impianto di condizionamento che ininterrottamente ronza sul nostro piccolo angolo di paradiso. Sarà per questo disturbo sonoro esterno o forse perché le casse acustiche che amplificano la voce di Monica Demuru e gli strumenti di Cristiano Calcagnile sono rivolte all’interno della struttura geodetica, ma della loro Sonatina in tasca. Tre quadri per un presagio sento in modo distinto solo dei frammenti.
Il pubblico attento di Stanze, variamente accomodato su sedie, panchine, sdraio, coperte, cuscini, muretti, dentro e fuori la struttura in bambù, segue con visibile concentrazione la performance realizzata attraverso la rielaborazione di una sceneggiatura ispirata a I pugni in tasca di Bellocchio (ritroviamo l’ambiente angosciante, il nome di Leone che torna a più riprese, il tema della morte, il dentro e fuori), di canzoni della tradizione colta e popolare, poesie e suggestioni letterarie in una partitura ritmica e sonora, secondo il codice artistico del duo. Il sodalizio artistico tra Cristiano Calcagnile (batterista, percussionista e compositore) e Monica Demuru (vocalist, performer e dramaturg) propone infatti da circa dieci anni sotto la denominazione di BLASTULA.scarnoduo un’idea di performance come costruzione di uno spazio sonoro stratificato e profondo come la memoria. L’essenzialità degli strumenti utilizzati, voce e percussioni, racconta di una particolare visione della musica, che vuole ritornare alle sue origini e all’ancestrale bisogno umano di costruire intesa, dialogo ritmico tra individui, di disegnare contorni di armonia al contrasto ineludibile del vivere sociale, di ricondurre a forma comune respiri distanti, integrandoli in un sistema sonoro.
Intuisco il senso generale del lavoro. Mi aiutano i titoli, quasi didascalie, delle tre sezioni della Sonatina, annunciati con voce chiara dalla Demuru: I quadro: TUTTE ADOLESCENZE DORATE; II quadro: MAMA, TURRIS EBURNEA; III quadro: MORIRE DI MONTAGGIO.
E gli ultimi minuti della performance mi regalano anche quell’illusione sonora che l’ambiente intorno aveva negato: il belato delle pecore, il richiamo limpido delle loro campane, fanno subito campagna e anche il Terzo Paradiso, con questo estremo ritorno alla natura, sembra perfetto.
La casa museo è visitabile gratuitamente. Per tutte le informazioni visitare il link
www.fondazioneboschidistefano.it
per la cupola del Terzo Paradiso www.biagiodicarlo.com/iweb/la_cupola_del_terzo_paradiso.html
per la Fondazione Pistoletto www.cittadellarte.it
per n.o.v.a.civitas Nuovi Organismi di Vita Abitativa www.cittadellarte.it/attivita.php?att=36