VINCENZO SARDELLI | Chi siamo veramente? Quante parti coesistono nel nostro io? Fino a che punto siamo artefici del nostro destino? E a che prezzo siamo disposti a comprare il successo?
Questa sono io, tratto dall’omonimo romanzo di Federico Guerri, adattamento teatrale di Corrado d’Elia, regia di Alessandro Castellucci, con una Monica Faggiani sorprendentemente proteiforme al Teatro Libero di Milano, è la vicenda di una starlet di provincia che si racconta in uno studio televisivo.
Il palco nudo (la scena è di Andrea Finizio). Uno sgabello sottile da bar che mette in mostra, sotto abitino e scarpe leopardati, le chilometriche gambe da miss dell’esuberante protagonista, Laura Prete. La voce fuori campo dell’intervistatore. Luci (di Alessandro Tinelli) che oscillano, dal viola al grigio.
È la tv da talk-show, scandita dalla claque a comando e glorificata da inquadrature che immortalano attimi di celebrità. Importa che il clima sia caldo e pop. Che l’applauso scatti al momento giusto. Anche noi siamo spettatori-figuranti, meccanismi della finzione mediatica.
Tra virtuale e reale, fermo immagine e sorrisetti patinati per le telecamere, Laura Prete è “naturalmente” sexy e “naturalmente” elegante. “Naturalmente” svitata, con accento marcato e interiezioni lombardo-venete. È lo stereotipo seducente della bambina nel corpo di una donna. Capricciosa e viziata, sbarazzina e sensuale, Laura narra con filo cronologico gli incontri che l’hanno resa ciò che è: soubrette, icona di pubblicità similpornografiche e tormentoni ammiccanti, attrice svanita, improbabile direttrice della Bes, Scuola per la Bellezza, l’Eleganza e lo Spettacolo. Laura si mette a nudo. Svela fragilità e misfatti sotto una patina solare e spumeggiante. Tanto di confessione, e tanto di colpo di scena finale. Anzi, di pistola.
Se la narrazione finisse qui, se Monica Faggiani si limitasse allo stereotipo della soubrette garrula imposto dal caravanserraglio mediatico, saremmo dinanzi a un monologo bello ma ordinario, tecnicamente impeccabile ma non memorabile.
Invece la storia merita, perché indaga le ordinarie nefandezze del mondo dello spettacolo, i compromessi, i ricatti. Esplora logiche perverse di orrori, sesso e violenza. E ancora di più merita l’attrice, che scolpisce nella penombra due altri registri agli antipodi del primo: quello di donna fragile, in balia di persone senza scrupoli; angelo violato, sfruttato, caduto. Infine il volto cinico, calcolatore, di una mantide che calpesta sentimenti e valori: un essere algido tra ricatto e iniquità.
Scivoliamo all’inferno senza neppure accorgercene. Indaghiamo la frammentarietà dell’essere umano. Entriamo in un cerchio violento che si autoalimenta, identificando vittime e carnefici, resettando la libertà di scegliere o concentrandola in una sola volontà guidata da un istinto d’onnipotenza. Riflettiamo sugli stereotipi dei media, tv e spettacolo, concorsi di bellezza e reality.
Laura, un’identità, tre persone, evocate con luci che da soffuse si fanno via via torbide e inquietanti. Una drammaturgia psicanalitica che parte piano da un registro naif e si sposta su direzioni in cui tutto è angusto, il movimento, la parola, l’anima. Si inizia col rosa, si dirotta sul giallo e sul noir. La voce della protagonista da stridula si fa fredda e metallica.
Questa sono io offre uno spaccato della nostra epoca, senza giudizi né sentimenti. Lo fa attraverso un’alchimia di scena, drammaturgia e regia, supportata dalla fotografia e dalla produzione multimediale di Viola Cadice. Sono dosati i tempi, i ritmi, le luci, le musiche. Soprattutto, colpisce la versatilità trina di Monica Faggiani: caciarona e svampita; vergine e vittima; manipolatrice, puttana, assassina. In tutti i casi, padrona del palco come ancora non l’avevamo vista.