RENZO FRANCABANDERA | Ci sono molte buone ragioni per visitare il Piemonte anche d’estate, ma è fuor di dubbio che fra queste vada menzionata la rassegna di teatro e nuovo circo Teatro a Corte, diretta da Beppe Navello affiancato dalla grazia di Mara Serina, che da quindici anni, ormai, porta a Torino e nelle altre residenze sabaude spettacoli, arte e cultura internazionale, con una capacità di far arrivare in Italia artisti di grande qualità ma che, incredibilmente, altri circuiti non programmano. E’ come l’amico un po’ sciccoso ma che non se la tira, affidabile e che ti apre la porta. Insomma una combinazione rara, per fortuna non caciarona, che si impone con la sua cortesia ma senza schiamazzi.
Sarà poi per la peculiarità di cercare in un’area ibrida fra teatro, danza e nuovo circo spesso incredibilmente poco frequentata dagli altri circuiti, e che ha invece visto nell’ultimo decennio la nascita di alcuni fra i più grandi artisti europei; sarà per l’altrettanto peculiare caratteristica di stabilire ogni anno partnership e focus internazionali per far arrivare qui da noi artisti di altre nazioni senza che la cosa si trasformi in una di quelle malate dinamiche di scambio di becero livello; sarà per queste e per molte altre ragioni, ma è dolcissimo passare di qui ogni anno. E i numeri confermano anche per l’edizione 2015: 13 giornate di festival con 26 compagnie internazionali e 27 spettacoli in 7 Dimore Sabaude del Piemonte e nella città di Torino, con un focus sulla Germania ma anche spettacoli da 8 diverse nazioni (Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Israele, Italia, Regno Unito, Spagna).
Insomma anche questa quindicesima edizione del festival internazionale Teatro a Corte, iniziato il 15 luglio e in cartellone fino al 2 agosto 2015, prosegue il percorso di esplorazione della scena contemporanea, aggiungendo poi alle dimore che già hanno ospitato spettacoli nelle edizioni passate, come Agliè, Racconigi, Rivoli e Venaria Reale, due nuove sedi, la Palazzina di Caccia di Stupinigi e la tenuta di Fontanafredda dove il 2 agosto la rassegna si concluderà con un appuntamento che unisce teatro e alta cucina.
Eh si, perchè comunque questo festival, assai prima di Expo ha sempre buttato uno sguardo al rapporto fra cibo e nostro tempo, parlando, come anche in questa edizione fa, del tema dell’alimentazione come momento cruciale dell’indagine sull’umano e che quest’anno si concretizza sia riscoprendo la contaminazione tra il rito dello spettacolo e quello della nutrizione (il 2 agosto a Fontanafredda nel Ristorante dello chef stellato Ugo Alciati), sia proponendo eventi speciali intorno al cibo come lo spettacolo MAS-SACRE della compagnia belga XL Production della coreografa Maria Clara Villa Lobos con la sua riflessione ironica e graffiante sull’industria del cibo.
Per non parlare della gustosa installazione di contenuto informativo-performativo Il falso convitto di Alice Delorenzi e Francesco Fassone realizzata con nei giardini di Venaria Reale, dove lo spettatore con ironia viene messo di fronte alla realtà su quello che spesso mette in tavola.
Centrale non meno che per gli altri linguaggi, e’ il lavoro di scouting e di proposta che Teatro a Corte ha avuto in questi anni rispetto alla danza, e che ha fornito nel fine settimana passato un ulteriore assaggio di altissima qualità.
Parliamo dei due giovani talenti della danza, entrambi vincitori in edizioni diverse del Solo Tanz Festival di Stoccarda, che si sono esibiti il 18 luglio: Andrea Costanzo Martini nella splendida sala da ballo della Palazzina di Stupinigi con la creazione site-specific Voglio voglia e Jann Gallois con il suo P=mg, un assolo che ha avuto consensi in tutta Europa e proposto a tarda serata all’Astra a conclusione di una interessante giornata di spettacoli.
I due lavori, diversi fra loro ma che intrecciano di fondo un istinto e un dialogo con la parte animale dell’essere umano che spesso misconosciamo o teniamo a freno nel nostro vivere sociale, portano l’attenzione dello spettatore su movenze e tensioni verso un assoluto atemporale. Così il corteggiamento nella palazzina di caccia fra le due creature ferine di Voglio voglia, fra abbaiar di cani, rifugi in un invisibile sottobosco che però riusciamo a figurarci, movenze sessuali e richiami ad un’olfattività ancestrale, in cui quasi annusiamo la sessualità della bestia, il suo sgambettare qui e lì in cerca di appagamento del desiderio, è un momento altissimo della rassegna e si trasforma in un tripudio di consensi da parte del pubblico nelle due repliche (h 17,30 e 18,30). Costanzo Martini, coreografo e danzatore italiano, emigrato a Tel Aviv, accompagnato in scena da una misuratissima e precisa Adi Weinberg, ci fa sentire il fruscio delle foglie e i rumori del sottobosco, ci fa girare la testa quasi impauriti al rumore dei rametti che si spezzano al passaggio di qualche fiera nascosta o di qualche essere umano armato, ci fa vedere e sentire tutto questo senza spostarci dalla sedia e senza che nulla di tutto questo appaia in scena, con movenze di un corpo bizzarro e audace, capace di attraversare la convenzione dell’arte coreutica classica, rileggendola e rendendola plastilina emotiva per un percorso con sentimenti fiabeschi e piulsioni coreografiche da cartoonist.
Jann Gallois gli risponde dopo alcune ore, in chiusura di giornata, con “P=mg”, 17 minuti per un grande assolo. Parliamo di una creazione che che ha ricevuto 8 premi internazionali in alcuni dei festival europei più prestigiosi (dal Solo-Tanz festival di Stoccarda, al Premio Paris Jeunes Talents, e il primo premio dell’International Contemporary Dance Festival di Gerusalemme), e di un’artista che ha lavorato con Angelin Preljocaj, Sébastien Ramirez, Les Ballets C de la B e Kaori Ito, gli esperimenti più interessanti del contemporaneo in Europa e non solo. Nel 2012, in collaborazione con Luc Petton e Damien Guillemin crea un passo a due, Nager dans ses rêves, il cui successo la spinge a fondare una sua compagnia, da cui nascono BurnOut e l’assolo presentato a Torino. Il tema pare essere il conflitto con le ineluttabili leggi della fisica, la sfida dell’essere vivente alla gravità e alle altre regole dell’immutabile. Il corpo dell’artista pare combattere una lotta impari con una forza oscura che la riporta al suolo proprio mentre cerca di ergersi, spiccare il volo, lasciare andare il peso e cercare leggerezza. In uno spazio delimitato dall’oscurità della scena vuota e ferito da luci soffuse e quasi siderali, il movimento diventa spasmo, l’umanità si scioglie in una animalità impotente di fronte all’immensità dell’insondabile, ma a cui l’ingegno pare lanciare un’ultima sfida, un motore centrifugo che diventa strumento per sfidare un’immobilità a cui l’esistenza pare costringerci.