GIULIA RANDONE | Mancano pochi giorni alla conclusione della quindicesima edizione di Teatro a Corte e il consiglio spassionato è di non perdersi le ultime proposte di questo festival dal respiro internazionale, curioso ed eccentrico. Tra giovedì 30 luglio e domenica 2 agosto le performance di artisti inglesi, belgi, francesi, tedeschi e spagnoli si concentreranno negli spazi del Teatro Astra di Torino e del Castello di Rivoli e, vista la nobile tradizione della rassegna, possiamo augurarci che l’intreccio tra i linguaggi della danza, del teatro e del circo dia luogo anche nei prossimi giorni a configurazioni originali.
Nei giorni scorsi hanno debuttato in prima italiana due spettacoli di nouveau cirque accomunati dall’esplorazione del corpo in sospensione: Capilotractées, delle artiste finlandesi Elice Abonce Muhonen e Sanja Kosonen, e Guateque della nota compagnia catalana Delrevés.
Entrambi i lavori lasciano trasparire una disciplina fisica rigorosa, precisione tecnica e sensibilità per le regioni dell’aria, ma sviluppano un’ispirazione poetica e prossemica divergente.
Capilotractées, visto il 17 luglio al Teatro Astra, è il primo lavoro comune di una funambola (Kosonen) e una trapezista (Abonce Muhonen) che, affascinate dall’antica e ormai insolita arte circense dell’hair hanging, hanno deciso di studiarla insieme. Ne è nato uno spettacolo dinamico, stupefacente, autoironico e bizzarro che, pur senza coinvolgere esplicitamente il pubblico, trae forza proprio dal dialogo con le paure e aspettative dello spettatore.
Quando le due acrobate entrano in scena in abiti eleganti, tacchi alti e voluminose acconciature l’attenzione di tutti è concentrata sui loro capelli e sull’ipotesi incredibile che quelle sottili appendici possano sostenere il peso di una persona. Kosonen e Abonce Muhonen invece spezzano la tensione, improvvisando una canzoncina sgangherata in italiano e strimpellando chitarra e ukulele: un buffo prologo che sembra chiamarci a raccolta in un ambiente familiare. E così nello stesso clima spiazzante, al ritmo di un medley ovviamente a tema tricotico, alternano scene di grande virtuosismo in cui con i capelli reggono pesi sempre più gravosi, a giochi di amiche (chi non si è mai rovesciata la chioma sulla faccia trasformandosi nel Cugino Itt?) e scherzi tra sorelle che si pettinano e tirano le ciocche a vicenda.
Sulla scena si avvera allora un paradosso: mentre le evoluzioni acrobatiche e le prove di forza vengono man mano accolte con gioioso incanto e minore apprensione, basta una vigorosa ma ordinaria spazzolata a produrre un brivido inaspettato tra le donne in sala, che in un brusio rievocano memorie di mamme particolarmente agguerrite nel districare i nodi.
Kosonen e Abonce Muhonen costruiscono uno spettacolo intelligente e spiritoso, che rinuncia a una progressione spettacolare fine a stessa, chiedendo invece allo spettatore di accogliere un gioco, di condividere un improbabile concerto di parrucche e travestimenti. Peccato che verso la conclusione il gioco tenda a sfibrarsi e a perdere in ritmo: forse occorrerebbe limare qualche scena e ridefinire gli sviluppi finali.
Se Capilotractées converte una pratica inquietante in un incontro amichevole, lo spettacolo dei Delrevés proietta invece in un contesto grandioso un evento quotidiano. In Guateque (25 luglio) la facciata settecentesca della Reggia di Venaria diventa protagonista dell’incontro di due giovani durante una sera di festa in un locale come tanti. Le più intime aspettative, insicurezze e strategie di seduzione si trasformano allora in una confidenza gridata a gran voce, ingigantita dall’architettura sabauda e amplificata dalla musica di Aurelien Rotureau. Sospesi a diversi metri di altezza, Saioa Fernández ed Eduardo Torres si osservano e studiano a vicenda, si prendono le misure e sperimentano la fatica di trovare un passo comune, prima di allacciarsi in un abbraccio e siglare un romanticissimo happy ending.
Un po’ viene da invidiarli questi innamorati chagalliani in volo sulle nostre teste, liberi e lontanissimi da noi. Così li guardiamo col naso all’insù, confusi nel buio e nel morso della folla, assordati dalla musica e desiderosi che il barman porga anche a noi un drink dissetante. La loro danza aerea ha il pregio di aprire lo sguardo alla bellezza di uno scenario che altrimenti non coglieremmo, appiattito com’è dalla luce del giorno e dall’abitudine, ma a metà dello spettacolo pare incagliarsi nella reiterazione di figure e piroette. Osservando le grandiose evoluzioni dei Delrevés ci torna in mente con nostalgia la grazia minima di certi passaggi di Capilotractées, che con movimenti lievi ci avevano fatto percepire la resistenza dell’aria e la concretezza del vuoto.