MARTINA VULLO | Giovedì 6 Agosto, per la produzione del festival teatri di pietra Sicilia, è andato in scena, nella location del giardino della Kolymbetra presso la Valle dei Templi di Agrigento, Esecuzione/Ifigenia, il lavoro drammaturgico frutto della collaborazione fra la regista Lina Prosa e l’attrice Miriam Palma sulla tragedia Ifigenia in Aulide.
L’eroina euripidea quest’anno aveva già calcato i palcoscenici siciliani, abbigliata in stile orientale, nel riadattamento di Tiezzi che, alla luce degli avvenimenti attuali relativi alle derive terroristiche legate all’integralismo religioso, ha voluto porre l’accento sull’attualità della tematica del sacrificio religioso. Se in quel contesto il lavoro drammaturgico aveva rispettato fedelmente i canoni stilistici della tragedia, in questo caso abbiamo a che fare con qualcosa di profondamente diverso.
Scenografia essenziale: blocchi di fieno al centro e intorno alla scena. Un tamburello al lato e il tempio dei Dioscuri a fare da sfondo fra ulivi e alberi di agrumi. Una semplicità in grado di restituire con efficacia il senso della grecità.
L’evento a cui assistiamo sfugge a classificazioni facili.
Si potrebbe parlare di un one-woman-show considerando che l’attrice – tailleur con pantalone nero, come la maglia intima sotto la giacca e foulard fantasia – sembra essere l’unica presenza in scena. L’esordio è cantato. Questo può farci pensare ad una qualche forma ibrida di musical. Potrebbe trattarsi anche di uno spettacolo centrato sulla tradizione dialettale, dato che la canzone è in lingua napoletana. Di certo le parole della canzone hanno l’aria di un prologo che narra l’antefatto. La grecità di quest’ultimo elemento tuttavia rappresenta solo una piccola contaminazione. L’attrice come un aedo fra grecità e tradizione medievale, con i ghirigori di trucco agli occhi e le labbra rosso fuoco, utilizzando la voce, il tamburello e più raramente il supporto di una base, inizia a narrare la storia dell’antico sacrificio.
Andando avanti nella performance, canti, rumori e suoni valicano i rispettivi confini e vengono sapientemente mescolati lasciando gli spettatori sospesi nella fascinosa ambiguità in grado di trasformare il filo di un discorso in un alito di vento e ancora nel rumore di pugni in lotta.
La voce, il tamburo, alcune pietre e i tacchi delle scarpe dell’attrice: qualsiasi elemento è votato a divenire strumento di questa partitura sonora. Persino i rumori ambientali mescolandosi alla voce narrante, sembrano conferire alle parole una certa solennità.
La partitura sonora che si viene a creare – rafforzata dal titolo scelto per l’opera – suggerisce il modo in cui interpretare questo lavoro di sperimentazione drammaturgica. Quella di Ifigenia, lo ha affermato in diverse occasioni la stessa Lina Prosa, è un’esecuzione sia in quanto sacrificio, che in quanto realizzazione di una partitura.
D’altronde una ricerca su questo fronte non ci stupisce da parte della Palma, cantante di formazione operistica. L’artista, quasi seguendo le impronte di artisti come Demetrio Stratos o Fatima Miranda (ma per altri versi anche da Bene e altri grandi del teatro legati all’indagine sulla vocalità), da molti anni porta avanti un’esperienza partita dalla ricerca sulle caratteristiche della musica siciliana e le sue affinità a quella mediorientale, andata a confluire poi in un’indagine sul suono in senso lato.
Di fatto per quanto Esecuzione/Ifigenia sia il prodotto di una doppia ricerca – testuale e vocale – l’elemento sonoro nella sua materialità prevale notevolmente: la magnetica voce sopranile dell’artista, in grado di raggiungere con tranquillità inaudita anche toni molto gravi, ha così conquistato l’attenzione del pubblico con le proprie modulazioni e variazioni repentine di volume (dal sussurro al grido) e timbro.
L’Agamennone dalla voce roca e quasi metallica che ne deriva, avrebbe suscitato inquietudine anche parlando una lingua incomprensibile, seppur sostenuto da movenze il cui connubio espressivo, unito alla caratterizzazione del personaggio instabile e vanaglorioso, ha restituito l’immagine di un uomo letteralmente posseduto dai principi dominanti nella sua società.
Diversa è la presenza/assenza di Ifigenia. Onnipresente nei ricordi rievocati dal padre o come personaggio narrato, ma mai come voce narrante. Il suo silenzio dà enfasi al ruolo della vittima sacrificale. La scena dell’esecuzione che anticipa la conclusione costituisce indubbiamente il momento di massimo pathos. L’epilogo che smorza la tensione fino ad allora accumulatasi, punta nuovamente il focus su un Agamennone macchietta e sulla sua barca rivolta verso il mare, accentuando la chiave del contrasto su cui pare centrarsi l’operazione di Miriam Palma e Lina Prosa.
Un contrasto funzionale nella scelta della doppia accezione di “esecuzione” del titolo, che si rivela una soluzione felice quando si materializza nei mutamenti di tonalità, timbro e colore della voce dell’artista. Interessante il contrasto fra drammaticità ed ironia del testo, così come l’elemento dialettale che aggiunge valore a vari momenti della drammaturgia, connotandoli emotivamente. Meno magnetico si è rivelato l’uso della lingua greca che ha un pò appesantito la combinazione fino ad allora funzionale degli elementi etnici. Anche il testo gioca sui contrasti emotivi, pur con momenti piuttosto ermetici. Certo, come già anticipato, l’opposizione fra l’elemento vocale e testuale si è risolta in favore del primo.
Una risoluzione tuttavia inevitabile quando c’è in gioco una forte presenza che in questo caso è data dalla voce. Un po’ come è accaduto all’Antonio laringectomizzato del Giulio Cesare della Societas Raffaello Sanzio, anche in questo caso è la voce nella sua autoreferenzialità a colpire l’attenzione. Se in Castellucci la particolarità risiedeva nella condizione di fragilità e malattia, in questo caso avviene l’esatto contrario: siamo di fronte ad un’estensione vocale straordinaria, viva, potente, utilizzata con maestria, che fissa nella memoria una Ifigenia sonora.