ANDY VIOLET | Gentile Presidente,
chi le scrive è un insegnante di lettere precario di 31 anni, omosessuale dichiarato dall’età di 16. Ho potuto contare, sin dal mio coming out con i compagni di classe e con la mia famiglia, sulla fortuna di non aver mai subito per la natura del mio orientamento sessuale alcuna discriminazione né violenza, cosa purtroppo non scontata in Italia. Il fatto stesso che io utilizzi la parola fortuna per indicare la serenità con cui ho vissuto la mia omosessualità la dice lunga su quale sia la condizione di gay, lesbiche e transessuali nel nostro Paese: dobbiamo sperare che sia la fortuna a darci quei diritti che dovrebbero essere garantiti per legge, mancando una seria legislazione riguardo l’omofobia e i diritti civili.
Questa gravissima lacuna nella legislazione italiana è frutto, quando non di livore ideologico, della colpevole incuria dei partiti, di destra quanto di sinistra, per l’argomento, relegato costantemente nell’alveo delle questioni poco importanti, poiché “c’è altro ben più urgente a cui pensare”. Il che, in un paese come l’Italia in cui l’emergenza è normalità, equivale a professare un completo disinteresse per i problemi di una fetta rivelante della popolazione italiana, completamente ignorata nelle sue legittime rivendicazioni, peraltro già da tempo accolte in vasta parte dell’Occidente. E’ proprio quella fetta di popolazione che lei, nella recente apparizione alla Festa dell’Unità di Roma, ha definito una “minoranza”. Le sue esatte parole sono state: “Noi siamo chiamati a governare il paese, non una minoranza”.
Ciò che forse le sfugge, Presidente, è che il fatto di essere una minoranza non la esime dal lavorare per l’affermazione dei diritti di tutti coloro che di questa minoranza fanno parte. Applicando il suo ragionamento alla lettera, non avrebbero alcun valore i diritti delle persone diversamente abili, degli immigrati, dei non cattolici, tutti configurabili come minoranze. Il suo, pertanto, è, senza se e senza ma, un concetto razzista, per di più alimentato non da ragioni oggettive, ma da un giudizio personale derivante dalla sua fede. Non si nasconda dietro la Costituzione: il suo rifiuto è frutto di ideologia cattolica pura e semplice, non meno irragionevole del burqa imposto alle donne.
Pretendo, da elettore e cittadino, che i miei diritti, non lesivi della libertà di alcuno, e il rispetto della mia persona vengano sanciti in modo inequivocabile, e non siano frutto di una fortunata coincidenza né degli indimostrabili convincimenti metafisici suoi e di altri colleghi del suo partito. Questo è dovere di chi viene chiamato a governare un Paese: ciò non la mette a capo di una minoranza, cosa che non le viene chiesto, ma la mette nella condizione di adempiere al suo mandato nell’interesse del Paese, che, sì, la stupirà, coincide con la difesa dei diritti di ciascuno, diritti che non derivano dal far parte di una maggioranza od una minoranza, ma dall’impegno dello Stato (e mi permetta di citare a mia volta la Costituzione) a rimuovere tutti i vincoli che non permettono la piena promozione ed espressione della persona.
Mi meraviglio, poi, che lo stesso discorso non lo faccia quando lei e i suoi colleghi venite chiamati a votare proposte di decurtamento del vostro stipendio o di altri benefici riservati alla ristretta élite della compagine politica, proposte che si sono sempre scontrate con un netto e ingiustificato rifiuto: non è quello agire negli interessi di una minoranza a detrimento del bene comune?
Nell’invitarla a ponderare meglio le sue uscite pubbliche, che, per quanto prive di turpiloquio, non risultano meno offensive dei coloriti epiteti che qualche suo collega ogni tanto usa per definire le persone omosessuali, la saluto, informandola che la sua parte politica ha perso il mio voto. Ma cosa le importa, dopotutto? Io sono solo una minoranza.
Un cittadino di serie B.