MATTEO BRIGHENTI | L’inciampo di vivere è andare sempre avanti lasciando sempre qualcosa indietro. Chi varca il teatro dei 5 sensi di Enrique Vargas, invece, sceglie di fare un passo indietro, dentro di sé, verso la bellezza ferita negli occhi della violenza: Cuore di tenebra ci vince con la prova che siamo fatti della stessa ambiguità di cui è fatto il dubbio di fronte al dolore degli altri. Una terra lieve che il piede accarezza in un’oscurità feroce e primitiva come una fotografia di Salgado.
In prima nazionale a Pistoia, la nuova esperienza sensorial teatrale dall’omonimo romanzo di Conrad della compagnia multiculturale Teatro de los Sentidos di Barcellona ha inaugurato ‘in trasferta’, nell’ex centro fiere di via Pertini, la stagione del Funaro, sogno realizzato che dal 2009 sta dimostrando che un altro teatro è possibile (d’ora in poi avrà anche maggior forza visto che un ampliamento architettonico dei suoi spazi permetterà di implementare attività e servizi). L’anno scorso, sulle assi proprie del centro culturale pistoiese, che è stato anche la Sede Italiana della Scuola dei Sensi, fu presentato Piccoli esercizi per il buon morire.
54 spettatori a replica hanno abitato e attraversato, in una relazione espressiva tra corpo e memoria, le domande sul nostro livello di sopportazione, sulla nostra soglia di innocenza, del regista e antropologo colombiano, formatosi all’Accademia di Arte Drammatica di Bogotà e all’Università del Michigan, dove si è laureato in Antropologia teatrale.
Cuore di tenebra comincia fuori da una porta chiusa. Vargas stesso, con un soffio di voce, ci chiede che nascondiglio avevamo quando eravamo bambini. Sopra agli alberi oppure sotto la scrivania, rispondiamo, comunque un luogo solo nostro, che è poi quello che ci aspetta al di là del rettangolo su cui un’attrice del Teatro de los Sentidos traccia con il gessetto gli spazi bianchi e inesplorati di una mappa. Il profilo termina sulla maniglia della porta. La apre, la apriamo, entra, entriamo.
La luce è bassa, fioca, da rifugio antiaereo, più che da nascondiglio per qualche marachella, e sulle pareti nere si affacciano numerosi disegni di oggetti, cose di uso quotidiano. È la caverna-museo dei tentativi di Marlow, qui un bambino, di figurare e figurarsi la vita di Kurtz, ma anche la stanza-spogliatoio di abiti e abitudini per proseguire più leggeri e, a un tempo, ricordarci da dove veniamo (e ricordarlo a chi affronterà il viaggio dopo di noi). Il romanzo di Conrad, per ora, è nei nomi dei protagonisti e in un’atmosfera di terrore crescente: l’incontro tra i due è un punto sul profilo dell’Africa che l’attrice disegna e poi strappa con decisione. Un’altra chiave per una serratura stavolta di carta. Passare attraverso la plasticità dello spazio è l’orizzonte da tenere per stare al passo con il teatro di Enrique Vargas.
Un dedalo oscuro scende dentro le narici, il flusso di persone che segue se stesso diventa percorso nella somma di tutti. L’aspettativa di luce si scioglie in un chiarore dentro il grande capannone di via Pertini. Qui ci dividiamo in una decina di gruppi riuniti ognuno attorno a una guida che ci porterà oltre i nostri limiti, a sperimentare con le nostre mani e senza scarpe, né calze, né calzini, che non sappiamo di cosa siamo capaci finché non lo facciamo o lo lasciamo fare.
Alla luce si succede nuovamente il buio più assoluto. Questa continua alternanza, questa altalena visiva, ci fa smarrire qualsiasi contatto con il tempo reale: come nei sogni, può essere passato un minuto come un giorno, un’ora come un’esistenza. Sai di essere a teatro, ma non lo riconosci, e non ti riconosci, perché vivi in corrispondenza di opposti sensi, uno per tutti: vedi con l’udito. Il nero immenso è infatti rotto dal ticchettio di macchine da scrivere, onde di cui noi siamo la cresta e la spuma. Come novelli immigrati ci mettiamo in fila per il nostro destino, dal più basso al più alto, e forniamo nome, cognome e circonferenza della testa. Possiamo portarci dietro solo un secchio con un po’ d’acqua. Siamo a una stazione, un posto di blocco, una dogana tra la vita e la morte, una soglia in cui compiere l’ultimo esame di coscienza.
Da qui in poi non ci sono più nomi, ma solo i numeri dei gruppi: il mio è il 24, come le ore del giorno, la fissità, la persistenza inesorabile della nostra vigliaccheria sepolta sotto l’omertosa salvaguardia personale: oscurità che le anime gentili del Teatro de los Sentidos disseppelliscono davanti a noi.
Il Cuore di tenebra di Conrad è l’indicibile crudeltà di un presupposto progresso civilizzatore, è lo Stato Libero del Congo tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, come ci spiega uno scritto di Matteo Codignola distribuito all’uscita, un immenso campo di lavoro e sterminio, alle dirette dipendenze di re Leopoldo II del Belgio, che causò 8 milioni di morti. Nella tenebra del cuore Vargas trova e dimostra con evidenza sorprendente tanto il massimo dell’appartenenza quanto dell’estraneità all’orrore: quell’io che vede, sente, tocca, annusa, gusta, quell’io dotato di sensi e sensibilità taciute o dimenticate, sono io, ma finché non riguarda me in prima persona, ciò che accade non è di mia responsabilità, e mi risulta anche finto, fasullo, una recita che incuriosisce, anche se (o proprio perché) spaventa. Infatti, la ragazza che dice, urla “no, basta!” all’uso dei secchi adesso riempiti di terra, inizio e fine di ogni cosa, ottiene solo l’effetto di infastidire coloro che vogliono continuare a godersi lo spettacolo, cioè tutti gli altri.
Per approfondire, leggi anche:
Tessa Granato, Cuore di tenebra. Passi nel vuoto, Fermata Spettacolo.
Giulio Sonno, Cuore di Tenebra, lo smarrimento nella scelta – Enrique Vargas | Teatro de los Sentidos, [paper street].
Maria Dolores Pesce, Cuore di tenebra, dramma.it.
il Funaro Centro Culturale
con Associazione Teatrale Pistoiese e Comune di Pistoia
presenta
Uno spettacolo di
Teatro de los Sentidos commissionato e prodotto da Republique Copenhagen
Cuore di tenebra
Regia di Enrique Vargas
Drammaturgia: Enrique Vargas & Teatro de los Sentidos
Coordinamento del progetto Patrizia Menichelli
Assistente alla regia Arianna Marano
Direzione degli attori Gabriella Salvaterra
Disegno dello spazio Gabriella Salvaterra
Disegno luci e poetica dell’oscurità Francisco Javier García, Luigi Biondi
Disegno del suono Stephane Laidet
Disegno olfattivo Giovanna Pezzullo
Costumi Patrizia Menichelli
Direzione tecnica Gabriel Hernández
Attori-ricercatori Betina Birkjaer, Francisco Javier García, Gabriel Hernández, Stephane Laidet, Arianna Marano, Patrizia Menichelli, Eva Pérez, Giovanna Pezzullo, Gabriella Salvaterra
Collaborazione drammaturgica Susana Fernández de la Vega, Valentina Vargas
Organizzazione Claudio Ponzana Management Toni Vidal Amministrazione Lidia Figueras
Ringraziamenti Maria Tovar, Massimiliano Barbini, Gustavo De Laforé, Emili Fontanals,
Raúl Mellado, Víctor Muñoz, David Pujol, Raúl Trujiente, Boukje Schweigman, B:SM, Parcs i Jardins Barcelona
Con il sostegno di Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e con il contributo di Conad del Tirreno e Cassa di Risparmio di Pistoia e della Lucchesia.
Visto domenica 4 ottobre.
bella narrazione, e anche nuovi spunti e associazioni d’idee