GIULIA MURONI | A un certo punto si spengono le luci. Si fronteggiano due squadre. Ripetizione e sospensione.

L’aurora: la prima luce, un attimo rarefatto, preliminare a qualcosa che si svilupperà nel tempo, in questo caso l’alba.

“Aurora” è il nome dell’ultimo lavoro di Alessandro Sciarroni, visto in prima assoluta alle Fonderie Limone nel cartellone di Torinodanza. Terzo momento della trilogia “Will you still love me tomorrow?”, consiste in una partita di Goalball, disciplina paralimpica, una sorta di pallamano concepita per i non vedenti e gli ipovedenti i quali, grazie a uno specifico sistema di segni acustici, riescono a registrare con precisione i movimenti della palla.

Si fronteggiano due squadre, ciascuna composta da tre giocatori, sdraiati in modo perpendicolare rispetto al campo- e in questo caso la ribalta- così da essere in grado di difendere dagli attacchi dell’altra squadra la lunga porta alle proprie spalle. Il gioco procede così, orchestrato da gesti atletici sapienti, dai ticchettii sul ferro della porta, i battiti delle mani, i rimbalzi chiassosi del pallone, le grida degli arbitri ai lati del campo. Movenze riprese da un contesto sportivo che in ambito scenico diventano coreografia, pratica  performativa di attraversamento nel tempo di uno spazio, con un ritmo. Senza quinte, il bianco del pavimento si colora delle luci, numerose tra frontali e controluci, che alternano intensità e tonalità. A un certo punto si spengono e la partita prosegue nel modo in cui la vivono i suoi giocatori, come una sorta di concerto immerso nel buio.

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Ciascuno di loro indossa una maschera sugli occhi, necessaria a creare il buio totale e annullare le differenze tra ipovedenti e non vedenti. Sono gli arbitri a controllarle  e farle indossare. È una temporalità densa ad abitare questi momenti, facendo affiorare per analogia quel gioco di sguardi in “Untitled” al seguito della caduta delle clave. O quell’inspirazione corale nelle pause del Schuhplattler, in “Folk-s”.

Partecipazione collettiva ad un rito, ad una socialità altra in cui finalmente la narrazione della disabilità oltrepassa l’antropologia del “nonostante” (Sloterdjik) e lo svantaggio di un’anomalia diventa virtù acrobatica. In “Devi cambiare la tua vita” Sloterdjik annovera tra gli esempi di ascesi moderna proprio lo sviluppo di un modo di vivere in cui l’evidenza patologica sappia trasformarsi nel presupposto di un felice adattamento, in cui i disabili si rivelino in quanto maestri eccellenti della condizione umana poiché capaci  di virare in direzione opposta agli ostacoli, inseguendo con ostinazione quella convergenza di coscienza della propria specifica unicità e del necessario atteggiamento combattivo nella vita.

Il primo capitolo della trilogia, “Folk-s”, svelava una nota crudele in cui il pubblico, tra l’incredulo e l’inconsapevole, dettava la durata di una danza di manate sui corpi dei danzatori; la seconda parte, “Untitled” suggeriva un’atmosfera lieve, pittorica dove la ripetizione del lancio delle clave diviene mantra poetico in un percorso del tempo come fluire leggero. Questa terza fase sembra una riuscitissima sintesi dialettica di aspetti inconciliabili e perfetti dell’azione, della ripetizione e della sospensione. Il gioco di traslare l’agone in un agire performativo schiude all’ipnosi del ripetersi, magnifica il movimento, accende le tifoserie fra le posture composte del pubblico di teatro. “È anche uno spettacolo sul rapporto con il pubblico e questa cosa l’abbiamo scoperta oggi”, rivela Sciarroni al microfono di Castellazzi. Nella seconda parte della serata viene proiettato il film di Cosimo Terlizzi, “Aurora. Un percorso di creazione”. Non si tratta di un documento atto a riconsegnare in modo neutrale il percorso creativo di Sciarroni, è un’opera che, pur sottendendo la familiarità con quel cammino, lo scruta in modo impressionistico e al contempo lo aggira, dà un’altra versione, non meno bella, non meno sincera, della stessa storia.

Serata di livello alto, apre una via insperata di comunicazione con il pubblico, passando per un sentiero altro. Anche questo è un elemento della poetica di Alessandro Sciarroni che, insieme ad una visionarietà coerente nella gestione del rituale artistico, lo riconferma come realtà autenticamente creativa.