MATTEO BRIGHENTI | C’è un Verdi che non c’è sul pentagramma della lirica. È il Re Lear da quel William Shakespeare che permise al cigno di Roncole di Busseto di dimostrarsi grande oltre lo spirito del suo tempo, il patriottismo, i moti rivoluzionari del ‘48, l’Italia e gli italiani da fare. Esiste il libretto, mentre la musica è “il fantasma di un’opera”, come dice Mario Lavagetto, che infesta e informa di sé, come un desiderio o forse un’inquietudine, Nabucco, Luisa Miller, Rigoletto, Trovatore, La forza del destino. Qui, in questa ‘casa stregata’, dove i lenzuoli sono sipari, le catene sono note musicali, e la volontà prende sempre le misure di un qualche palcoscenico, sono entrati Francesco Pititto e Maria Federica Maestri, cioè Lenz Fondazione di Parma, e insieme al compositore di musica elettronica Robin Rimbaud aka Scanner e ai cantanti del Conservatorio “Arrigo Boito” hanno trovato, scoperto cercando, o più precisamente sono giunti alla meta del Verdi Re Lear. Dopo la Premessa nella scorsa edizione del Festival Internazionale Natura Dèi Teatri, l’ambizioso progetto di teatro musicale è stato proposto nella sua forma definitiva nell’ambito del Festival Verdi 2015. Un’impresa che poteva nascere, crescere e realizzarsi solo con Lenz, forte della propria esperienza nel liberare tutte le opportunità di bellezza chiuse nella mancanza, nell’assenza, come dimostra il lavoro con gli attori ‘sensibili’ – con disabilità psichica e intellettiva – e la pluriennale collaborazione con il Dipartimento assistenziale integrato di salute mentale dipendenze patologiche dell’Ausl parmense.
La tragedia della paternità nell’intimo del re/padre/folle, delineata da Salvadore Cammarano, già autore del Trovatore, e portata a termine da Antonio Somma, librettista di Un ballo in maschera, si divide nelle sale dello spazio post industriale di Lenz Teatro, la Sala Majakóvskij e la Sala Est: agiscono e si ripetono, contemporaneamente, inizio, svolgimento e fine, la divisone del regno, l’esilio di Cordelia, il conte di Gloucester e i suoi figli, la pazzia e morte di Lear. Il pubblico di una sala, al termine della performance, si sposta nell’altra: la non presenza di una linearità narrativa è lo specchio dell’impossibilità di ricostruire un’opera mai composta, se non appunto interpretandola, inventandola attraverso cambi di posture mentali (e fisiche), luoghi, sguardi, gli stessi che si chiedono anche al pubblico, qui autore più che mai. Il virtuale e il reale della scena resi dalla drammaturgia, imagoturgia e regia di Francesco Pititto e dalle installazioni e dai costumi di Maria Federica Maestri, sono i molteplici frammenti linguistici ed espressivi a cui lo spettatore è chiamato a dar la forma dell’incessante ricerca creativa di Verdi. La musica è quella di Scanner, le arie e i duetti selezionati dal M° Carla Delfrate, secondo una griglia di affinità e rimandi al rapporto padre-figlio e ai temi dell’inganno, del potere, della vecchiaia, dell’incomunicabilità, sono a cappella, perché del Lear restano solo le parole, è un paesaggio di cui esiste soltanto la mappa, un territorio che non riusciremo mai a trovare, pur sapendo dove andarlo a cercare.
Sala Majakóvskij
Tre schermi grigi e trasparenti, uno dietro l’altro, e in fondo il trono ricoperto di mantelli neri e pelosi, sono la radura selvaggia tra sogno e realtà aumentata, tra azione e immaginazione, in cui Lear chiede alle tre figlie chi lo ama di più. Il Re è una voce (di Rocco Caccavari) che cade dall’alto e l’immagine di un corpo-mondo, nudo, che non ha più nulla, che ha perso il peso di tutto. Questa proiezione diventa porta e finestra, la siepe oltre cui guardare il canto del fato inesorabile di Cordelia “pellegrina e orfana” come ne La forza del destino. Immobili e ferme, le voci dei cantanti preparati dalla prof. Donatella Saccardi vibrano le note nell’aria fino all’ultimo, estremo addio. Assonanze magnetiche, quasi magiche, guidano una sovrapposizione di piani d’ascolto e confronto concentrici come cerchi nell’acqua. Luce e lamento, sensualità paurosa e lo sguardo verso chi non c’è, più. La solitudine è inferta a Lear e il cordone ombelicale è un cappio stretto al collo del Fool interpretato dell’attrice ‘sensibile’ Barbara Voghera: ciò che è nella testa non esce se non a costo del dolore.
Sala Est
Una teoria di 10 lettini ospedalieri, 5 per lato, ricoperti dei soliti manti neri e pelosi, uno schermo trasparente grigio a chiudere la scena e uno più piccolo in fondo, sono il labirinto dell’infermità, il limbo, la tempesta dei sensi reduci dalla guerra interiore dell’anziano re. Si ripercorre la genesi del dramma, il processo istruito da Lear alle figlie Nerilla e Regana, e l’incontro, non presente nel libretto originario, con Gloucester nella brughiera, accomunati da cecità reale e cecità paterna. Le liriche verdiane e il live electronics di Scanner incontrano un ritmo concitato, di corsa contro il tempo, apocalittico, senza speranza. Ultimo uomo sulla Terra, Lear è assiso sul suo trono, una carrozzina. Roberto Caccavari, presidente onorario di Lenz Fondazione, ha una barba in chiaroscuro che pare scolpita nel ghiaccio e nel vento. La sua presenza si avvicina, si sovrappone e quasi entra dentro la sua immagine proiettata sullo schermo. Il volto, ripreso nel dettaglio, sembra solcato dai crateri della Luna, la bocca vera nella bocca filmata, che spalanca e spezza di luce il respiro come fa il faro con le onde nella notte. Resta lì, le figlie o i loro spettri accanto, e lancia i suoi occhi oltre la livida cortina: veniamo al mondo e piangiamo, “all fools”, tutti matti. La malattia umana è una tragedia cosmica su lidi affetti dal rimorso.
Per approfondire, leggi anche:
Laura Bevione, L’opera che non c’è: su Verdi Re Lear di Lenz, su amandaviewontheatre.
Andrea Alfieri, Verdi reloaded. Il Re Lear secondo Lenz Rifrazioni, su Krapp’s Last Post.
Rossella Menna, Verdi Lenz Re Lear, su Doppiozero.
Daniele Rizzo, L’eccedenza e il sublime, su Persinsala.
Verdi Re lear
Lenz Fondazione per il Festival Verdi 2015
da Re Lear di Somma-Verdi prima versione con le varianti e King Lear di William Shakespeare
Ricerca, drammaturgia e imagoturgia, regia | Francesco Pititto
Music + live electronics | Robin Rimbaud aka Scanner
Installazioni e costumi | Maria Federica Maestri
Consulenza musicale | M° Carla Delfrate
Consulente al canto | Prof. Donatella Saccardi
Performer | Valentina Barbarini – Cordelia/Delia | Barbara Voghera – Fool/Mica
Giuseppe Barigazzi – Lear in immagine
Cantanti | Haruka Takahashi – Regan/Regana soprano
Ekaterina Chekmareva – Goneril/Gonerilla mezzosoprano
Gaetano Vinciguerra – doppio Lear baritono
Lorenzo Bonomi – doppio Lear/Edgar/Edgardo baritono
Andrea Pellegrini – doppio Lear basso
Adriano Gramigni – Gloucester
Voce over | Rocco Caccavari
In scena | Rocco Caccavari, Paolo Maccini, Franck Berzieri, Carlo Destro, Paolo Pediri, Carlotta Spaggiari
Cura | Elena Sorbi
Organizzazione | Ilaria Stocchi
Comunicazione | Violetta Fulchiati
Ufficio stampa | Michele Pascarella
Direzione tecnica | Alice Scartapacchio
Assistente alla regia | Valeria Borelli
Équipe tecnica | Gianluca Bergamini, Gianluca Losi, Stefano Glielmi, Marco Cavellini
Produzione | Lenz Fondazione
In collaborazione con il Conservatorio di Musica “A. Boito” di Parma e Teatro Regio di Parma
Visto sabato 10 ottobre, Lenz Teatro, Parma.