ROBERTA LEOTTI | Il rumore dei tasti della macchina da scrivere fa da sottofondo all’ingresso del pubblico in sala, anche se l’ audio arriva dalla parte opposta rispetto alla macchina per scrivere, posta a ridosso del pubblico della prima fila. Il nero sembra essere il colore predominante in scena, come il tavolaccio disordinato per i fogli della sceneggiatura lasciati a casaccio e che occupa parte della spazio disponibile ed attorno al quale una regista cerca di distreggiarsi tra le difficoltà di trasposizione di un soggetto e la precarietà delle risorse a disposizioni.
In occasione della quindicesima settimana della lingua Italiana nel mondo, Ludovico Nolfi ha portato in scena le vicende dell’eclettico artista e intellettuale italiano al Courtyard Theatre di Londra. Presentata prima in Italia e poi in Germania, Looking for Pasolini è un omaggio arrivato sulle scene londinesi con lo scopo di “iniziare” il pubblico anglosassone alla scoperta di questa figura apicale per la cultura italiana dell’ultimo cinquantennio.
Nella ricerca di Pasolini, la giovane compagnia Ars in Fieri diretta da Ludovico Nolfi su una drammaturgia di Atticus Orsborn & Nolfi stesso, rielabora alcuni aspetti della vita dell’artista intrecciandoli con le vicende di una compagnia teatrale intenta alle prove di una pièce a lui dedicata. Di complemento scenico e drammaturgico è l’utilizzo di un grosso drappeggio bianco su cui si proiettano immagini in bianco e nero; spezzoni di film del Pasolini regista che si intervallano alla performance degli attori. Scorrono immagini, attori e momenti del cinema italiano come la splendida Magnani di Mamma Roma.
Il plot, giocando sul teatro nel teatro, inizia dalle prove di uno spettacolo in cui il cast (Sochel Rogers, Dea Rakovac, James Labdarbs, Samuel Mattioli) si ritrova e si confronta sulla propria conoscenza di Pasolini per lavorare su alcune idee. Il giovane James Labdarbs è qui un attore alle prime armi nella parte di Pasolini, che non cerca un’intonazione borderline per raccontare l’artista, e attraversa con attenzione le situazioni che richiamano la vita Pasolini fra pubblico e privato, dalla militanza, all’arte fino alla tormentata omosessualità ed il rapporto con la madre, rievocato con riferimenti alla Poesia in forma di rosa è riproposto nella coreografia dell’attrice Dea Rakivac con Labdars ed una sedia, unico elemento scenico utilizzato a suggellare il legame madre-figlio, che si abbracciano. Un simbolo che diventa un intralcio e finirà gettata a terra, quasi a sfogo delle proprie inquietudini sessuali.
In un altro passaggio, la coreografia ha connotazioni piu’ leggere e vede come protagonista un drappo dalle fantasie etcniche fatto volteggiare ripetutamente dalle attrici Sochel Rogers e Dea Rakovac. Un chiaro simbolismo rimanda all’Africa tanto amata da Pasolini che definì “come una droga che prendi per non ammazzarti, un’evasione” (cit. Oriana Fallaci racconta Pier Paolo Pasolini).
La drammaturgia e’ un continuo salto tra gli spaccati sulla vita di Pasolini e la finzione della pièce i cui confini rimangono volutamente confusi fino alla fine. Lo stacco sarà marcato dall’accusatorio “Io So”, con le voci martellanti degli attori che si parlano uno sopra l’altro ignorandosi, muovendosi quasi fossero automi in una sorta di perimetro immaginario. A ripristinare un contatto visivo con l’uomo, una giacca, oggetto che incarna la dipartita dell’artista. Come un feretro di un corteo funebre in attesa di degna sepoltura viene passata con estrema cura fra gli attori. Si tratta come si è cercato di dire di stilemi di un teatro che cerca nella semplicità e nel lavoro attorale la sua forza, con qualche spinta multimediale ma con un impianto tradizionale.
Nonostante i simboli volutamente accentati, le citazioni letterarie e i contributi cinematografici, il tessuto spettacolare rischia di risultare di non facile decrittazione per chi è nato e vissuto lontano dall’Italia. Alla compagnia teatrale, tuttavia, va riconosciuto il merito di farsi promotrice della cultura italiana all’estero, con particolare attenzione ad artisti poco conosciuti persino dai “theatergoers”, come Pier Paolo Pasolini.