VINCENZO SARDELLI | C’era una volta il teatro elisabettiano. Ai tempi della regina Elisabetta I a Londra, nel 1598, fu eretto un grande e attrezzato teatro, il Globe, di forma circolare e non coperto. Al centro si trovava lo spazio riservato alla rappresentazione. Gli spettatori si disponevano intorno, bevendo birra e gustando dolciumi in un’atmosfera vivace e chiassosa. Gli attori erano considerati vagabondi e furfanti. Detestavano il viola, colore della quaresima, sinonimo di teatri chiusi cioè di fame. Quando morivano, le loro spoglie erano gettate in fosse comuni.
La magia di quell’epoca rivive all’Elfo Puccini di Milano nello spettacolo Shakespeare a merenda, scritto, diretto e interpretato da una trascinante Elena Russo Arman. Nello spazio di soli sessanta minuti l’attrice di scuola ronconiana dà un saggio di che cosa voglia dire tenere il palco da sola. Capace d’incantare un pubblico dagli otto anni in su, Elena si trasforma in Mary, candida sartina del Globe Theatre con il miraggio di fare l’attrice. Peccato che i ruoli di Giulietta, Ofelia o Desdemona siano appannaggio di Mr Charles Goodwin: ai tempi di Shakespeare potevano recitare solo gli uomini che, travestiti, ricoprivano anche i ruoli femminili.
A Mary non resta che muovere la fantasia. Siamo tutti dietro le quinte. Il palco non lo vediamo, è davanti a noi oltre la seconda parete. Echeggiano, fuoricampo e in inglese, apostrofi e battute dei drammi di Shakespeare (voce registrata Francesco Gagliardi). Siamo in un festoso, affollatissimo bazar di rasi e damaschi, veli e crinoline. E poi ritratti, spille, anelli, code di topo, tele di ragno. Padrona dei camerini, la piccola sarta furoreggia in un guazzabuglio di parrucche e costumi (scelti con Ortensia Mazzei) attraversando con leggerezza e ironia temi, passioni e personaggi dell’opera del Bardo. Mary entra in empatia con gli spettatori, offre loro l’occasione di vivere atmosfere trasognate. Spazia in un attimo dal castello di Elsinore alla foresta del Sogno di una notte di mezza estate. Trasforma un fazzoletto in uno spettro, una teiera e due anfore nei personaggi che mettono in scena L’assassinio di Gonzaga, il teatro nel teatro che nell’Amleto consente di rivelare le colpe di Claudio. Con l’ausilio di due semplici mascherine, Mary tesse la trama di ammiccamenti fra Romeo e Giulietta.
Il monologo incede al ritmo della pavana, che annunciava l’entrata trionfale di dei e imperatori nella finzione del masque, o alla cadenza vivace della gagliarda o della giga. L’attrice esibisce agilità e grazia. La musica determina la temperatura del lavoro, crea pieni e vuoti, diventa esperienza fisica anche per lo spettatore. La forma interagisce con lo spazio, le figure, i materiali. Il personaggio di Mary si definisce partendo da immagini, costumi e acconciature che ne scandiscono il percorso.
Elena Russo Arman trasforma ogni ingrediente scenico (i suoni di Giuseppe Marzoli, gli oggetti, le luci di Nando Frigerio) in un potente strumento retorico e condizionante. A tutto impone la propria armonia: caratterizza con voce proteiforme vari personaggi. Dà forza alle situazioni. Illumina frammenti dei principali drammi del Bardo. Descrive momenti di baldoria e di vita di corte. Traduce le fumose atmosfere di un’epoca remota in una messinscena fresca e baldanzosa.
Shakespeare a merenda è uno spettacolo che seduce gli spettatori di domani, e quelli navigati che di teatro ne masticano da decenni.