RENZO FRANCABANDERA | E’ lo spettacolo
vincitore del Premio Scenario Infanzia 2014, una creazione della
Compagnia Scena Madre che porta la firma alla regia e drammaturgia di Marta Abate e Michelangelo Frola, che scelgono di guidare in scena due bambini, Elio Ciolfi, Emma Frediani. Parliamo de La stanza dei giochi.
In scena fra molti giocattoli e una casetta di plastica di quelle che campeggiano in molti giardinetti backyard due bambini in 45 minuti di recitato danno vita a dinamiche relazionali il cui confine con le modalità dell’età adulta è invero sottilissimo. Si parte con un patto con cui lei (aggressiva e dispettosa) concede a lui di entrare nella casetta purchè le faccia da servo. E’ un gioco che a volte i bimbi fanno ma che qui sviluppa una dinamica adulta e particolarmente “politically uncorrect”, che è al contempo la ricchiezza ma sotto alcuni punti di vista anche il vulnus di questo spettacolo. E’ un lavoro di cui è stata pustulata la “rivoluzionarietà” rispetto ai paradigmi che il teatro ragazzi ha finora avuto. Gli elementi di particolare novità della creazione sono la presenza in scena come unici interpreti dei due bambini e il fatto che la drammaturgia sia affidata ai bambini stessi pur con un sapore spesso adulto.
Sul primo punto, certamente in Italia esperimenti di stampo professionistico con bimbi in scena sono pochi ma nei paesi nordeuropei sono abbastanza la prassi, tanto che a Vie Modena in diverse stagioni (e anche a Milano a Teatro i) erano approdate le creazioni di gruppi belgi totalmente ideate e interpretate da bambini. Anche il progetto delle Albe su Majakovskij e Lolita di Babilonia portano in scena i ragazzi, anche se questi de La stanza dei giochi sono anagraficamente più piccoli della media.
La logica sottostante lo spettacolo che trasforma il terrain de jeux in terrain de guerre è interessante, ancorchè dal punto di vista drammaturgico mantenga una sua staticità che nella seconda parte in particolare non fa evolvere in maniera rotonda i caratteri. Il finale, in cui si mostra come la guerra porti a creare muri e solitudini, è di fatto un elemento già acquisito da tempo nel plot, mentre resta abbastanza immotivata la spigolatura caratteriale della bambina dal tratto viziatello e dominante, in forma quasi aprioristica. Ciò certamente può essere in natura, tuttavia questa fissità che solo nel finale si smussa non giova al ritmo scenico che forse nell’orizzonte breve dei 20 minuti poteva essere risultato più compatto di quanto non appaia la creazione nella sua interezza, presentata in questi giorni a Campo Teatrale, Milano.
Non che si sia tifosi del teatro pedagogico, anzi, troviamo spesso bacchettoni alcuni rilievi mossi a proposte per l’età infantile che ne vogliano ritardare il confronto con i grandi temi della debolezza caratteriale umana, ma certamente un carattere infantile che fin dall’inizio si declina nelle modalità dell’inganno, del ricatto e della minaccia ci lascia il dubbio che, pur volendo puntare il focus su queste particolari questioni che avvicinano bambini e adulti, si rischia forse di sottovalutare quanto i bambini siano capaci di azzerare in nulla queste questioni, e questa è la loro vera ricchezza (cosa che altri recenti spettacoli, come l’Hanà e Momò di Principio Attivo, per menzionarne uno ancora in cartellone, hanno affrontato).
Dunque il dubbio che ci resta è proprio che si voglia insistere sull’applicazione di un paradigma adulto su una meccanica scenica che si vuole destinata ai bambini, anche “oltre” le tipicità dei bambini stessi, e che in questa scelta, ovviamente comprensibile ai fini artistici, si rischia di sottacere una parte importante delle dinamiche dei bambini, quella capace di considerare tutto transitorio, passeggero, leggero.
Qui la guerra sembra invece una scintilla drammaturgica preventiva (giusto per usare anche noi un vocabolario adulto), e la pace un’opzione negoziale troppo poco prioritaria nell’agenda dei protagonisti. Oddio, siamo diventati bacchettoni noi?