ANDREA CIOMMIENTO | In un’intervista rilasciata due anni fa, Paolo Rossi ci confidava di allenare gli attori a nuove prospettive osservando la società di oggi inebriata dalla “recitazione”. Con il suo piglio scattante e mai moralista ci raccontava come i politici hanno aumentato il proprio consenso facendo “spettacolo” e dedicando sempre meno spazio a contributi di pensiero politico. Da sempre lo abbiamo seguito nei panni di comico satirico, interprete di grandi spettacoli anche di prosa, ma solo in questi ultimi anni la sua maturazione artistica lo ha portato a vestire i panni di “capocomico” allenando i giovani attori a essere reattivi al mondo che cambia. Ora ricerca una strada differente per l’attore, non solo quella dell’interprete ma piuttosto quella di un giocatore 3.0 con ruoli che oscillano tra la persona, l’attore e il personaggio.
Nel nuovissimo Teatro Verdi di Pordenone, centinaia di spettatori hanno seguito “Molière: la recita di Versailles”, scritto da Stefano Massini, Paolo Rossi e Giampiero Solari. Lo spettacolo prende a pretesto la vita e le opere dell’autore francese divenendo testimonianza di una certa idea di teatro fondata sulla sopravvivenza e sul patto invisibile tra i commedianti stessi e i commedianti alla corte del Re. Una decina di attori diretti dal capocomico e accompagnati dai “Virtuosi del Carso”, con il musicista Emanuele Dell’Aquila, si imbarcano in due tempi teatrali di oltre due ore in un innesto tra lezione didattica, appunti satirici, improvvisazione e messa in scena confondendo i piani temporali tra il presente e il passato storico da re-interpretare.
Il titolo dello spettacolo fa riferimento a “L’improvvisazione di Versailles” in cui Molière porta in vita i suoi commedianti. Rivela il proprio teatro, parte della sua biografia e il saccheggio alla tradizione comica italiana. Un manifesto non così conosciuto che porta la questione dell’interesse del pubblico per il teatro oltreché dei potenti. Uno spettacolo semplice e divertente in cui una scorribanda di attori deve lavorare a una nuova opera per il Re.
Stefano Massini, da poco consulente artistico per il Piccolo Teatro di Milano, dopo la fertile e ultima collaborazione con Luca Ronconi, contribuisce alla drammaturgia definendo il risultato ottenuto una “macchina da guerra”. Misantropo, Tartufo e Avaro sono le tre storie che sorreggono le improvvisazioni. Ci sono poi momenti di assoli satirici che il comico impartisce ai presenti, mentre il coro di giovani è lì pronto a reagire a qualsiasi imprevisto.
Paolo Rossi ha esplorato la poetica satirica di Molière in diverse occasioni senza trascurare mai le contraddizioni dell’attualità politica. Dell’autore francese lo affascinano le voci che circolano tra la vita privata, le scadenze, i temi pericolosi e le rivalità del tempo.
Di questi aspetti riversati sullo spettacolo si intaglia e si smussa la pericolosità dei temi, sbeffeggiando i “poteri” e i “re” senza far nomi, soltanto lontanissime allusioni ai potenti di oggi. Non capiamo se è il contesto politico attuale a mascherare i nuovi “re” o Paolo Rossi ad addolcirsi, sospendendo i veleni e i giudizi sulla realtà che ci circonda. Si concentra invece sulla costruzione di un lessico tutto famigliare con il suo gruppo e il suo pubblico. Questa visione di famiglia teatrale allargata trapela chiaramente in questo ensemble; viene ripresa la tradizione popolare saccheggiando i comici d’arte, il loro sentimento e l’opera di Molière garantendo uno spettacolo senza assopimenti e riscoprendo la forza di un teatro che ha radici nella tradizione del repertorio classico.