NICOLA ARRIGONI | Il teatro di Tindaro Granata vive di resti umani, ci sono i detriti della vita reale, destinati a emergere sulla superficie della scena come emergenze di dolore, silenzi, paure, confessioni inconfessate. In Familiae, l’attore e drammaturgo siciliano raccoglie i suoi testi Antropolaroid, Invidiatemi come io ho invidiato voi e Geppetto e Geppetto. 1 papà + 1 papà = in figlio? Il volume – pubblicato da Cue Press – si avvale della prefazione a cura di Damiano Pignedoli e della postfazione, firmata da Carmelo Rifici. Dati gli estremi il trittico di Tindaro Granata vive di una sua coerenza d’indagine e di linguaggio che in ambito editoriale vale sottolineare come un valore aggiunto rispetto ai racconti che si devono necessariamente compiere in scena e la cui parola sulla pagina scritta fa sentire al lettore l’urgenza dell’oralità.
In Antropolaroid l’autore-attore si scatena nell’attingere da una memoria privata e intima che attraverso l’eredità narrativa del cunto porta in luce il non detto, la violenza, l’amore e il silenzio di violenze taciute. La famiglia e le sue relazioni sono la materia di un’indagine drammaturgica ed estetica che Tindaro Granata porta avanti con grande coerenza non solo tematica, ma anche linguistica. Dai ‘resti familiari’ di Antropolaroid, alle testimonianze di Invidiatemi come io ho invidiato voi in cui un caso di pedofilia diviene il pre-testo per raccontare di una società che vive di inazioni, che è fatta di sguardi rubati, di sospetti taciuti, di bruciante indifferenza e invidia per un altrove e un benessere che è sogno e fuga al tempo stesso.
Come per Antropolaroid l’utilizzo del cunto è materiale antropologico necessario alla narrazione, che dà carne e respiro a uno scavo delle relazioni che non è solo descrittivo, così in Invidiatemi come io ho invidiato voi il richiamo evangelico si scontra con una drammaturgia rubata alla vita, alle testimonianze del processo di un caso di pedofilia documentato nella trasmissione Un giorno in pretura. La vicenda si intesse e si nutre di un linguaggio rubato alla quotidianità, costruito a tratti di luoghi comuni, di frasi fatte, di un italiano ‘sgrammaticato’ che risuona della miseria affettiva, dell’incapacità relazionale di un mondo di uomini e donne vittime dei loro desideri e sogni, di un’umanità affamata di una realtà scintillante che è favola ma tramite la comunicazione pervasiva della tv rischia di divenire realtà vera, o almeno percepita come tale. In Invidiatemi come io ho invidiato voi Tindaro Granata sulla vicenda di pedofilia costruisce la sua riflessione linguistico/teatrale sul deserto dei cuori di una umanità del benessere che vive in continuo affanno desiderante, sempre inappagata, condannata a una disperata solitudine affettiva.
Geppetto e Geppetto. 1 papà + 1 papà = in figlio? porta in scena il desiderio di un figlio da parte di una coppia gay, il viaggio per averlo, i ruoli di genere assunti con più o meno consapevolezza, la figura materna – non solo utero in affitto – il punto di vista del bambino, lo scontro fra normalità e fuori dalla norma, lo sguardo dell’altro. Tindaro Granata non dà risposte, ma offre domande, descrive, fa agire una situazione, gioca con un continuo spiazzamento, quasi volesse mostrare una realtà prismatica, non per non prendere posizioni, ma per condividere con lo spettatore/lettore interrogativi, dubbi, speranze, desideri legittimi o non legittimi… In tutto ciò il dialogo col pubblico, il punto di vista altro dello spettatore/lettore non solo è centrale, ma diventa autorale. Tindaro Granata nello scavare i meccanismi relazionali ed emotivi della famiglia ci tira dentro, non vuole che rimaniamo indifferenti, ma ci domanda di partecipare a quel suo narrare i deserti degli affetti di cui è costellato il nostro complesso quotidiano vivere.
Tindaro Granata, Familiae. Antropolaroid, Invidiatemi come io ho invidiato voi, Geppetto e Geppetto. 1 papà + 1 papà = 1 figlio?, prefazione e cura di Damiano Pignedoli, postfazione di Carmelo Rifici, Cuepress, Bologna, 2015, pagine 114, 12,99.