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MARTINA VULLO | Un uomo e una donna si incontrano alla panchina di una piazza: Lui è una persona d’affari, in città per lavoro e lei una prostituta con problemi di tossicodipendenza. L’atmosfera che li avvolge è data dal bianco della neve, dal freddo e dalla solitudine del paesaggio invernale. Questa è la premessa dalla quale si dispiega la pièce Inverno di Jon Fosse, tutta basata sul dialogo quasi surreale dei due personaggi.

Per la produzione del festival Cuore di ghiaccio, una nuova versione di Inverno arriva ai Teatri di vita di Bologna, ad opera di Florian Metateatro, per la regia di Vincenzo Manna.

Nello spettacolo messo in scena dal 27 al 29 Novembre però, non resta né il bianco della neve, né il senso di solitudine e pure i personaggi sono diversi da quelli proposti dallo scrittore norvegese.

Le protagoniste sono una ragazza (Flaminia Cuzzoli) ed una donna di mezza età (Anna Paola Vellaccio).

Non ci sono oggetti scenografici fissi e le azioni si svolgono nel semibuio. La luminosità è data da neon che avvolgono l’azione di una delle attrici o di entrambe, senza mai abbracciare l’intera scena.

Su un ritmo di musica elettronica esordisce la ragazza in vestitino bianco e tacchi alti: balla in modo spinto e si lancia in gesti grezzi e dal carattere allusivo (più che una prostituta ci sembra una ragazza in disco). Finita la musica la osserviamo in una profusione di trivialita’, mentre se la prende con qualcuno che capiamo averla sedotta e abbandonata.

I gesti della ragazza ci riempiono di informazioni: le espressioni del viso e la camminata barcollante raccontano che è ubriaca, mentre le gambe e le braccia che continua a toccarsi per scaldarsi, rimandano al clima invernale visivamente assente.

Segue l’incontro con la seconda protagonista che avvolta nel suo cappotto nero, passeggia per l’immaginaria strada. La ragazza le si getta addosso provocandola insistentemente e chiedendole di portarla via con sé fino a che questa, inizialmente – stando al suo tono di voce – più stupita e perplessa che non interessata, finisce per portarla via.

Le vicende a cui dà vita Fosse, si collocano in una soglia che si muove fra l’onirico e l’appena verosimile: accade così che personaggi che si conoscono poco, si incontrino per sperimentare strane alchimie. La forza delle rappresentazioni è tutta affidata al non detto ed alle trame sottopelle che devono tessere attori e registi per rendere le sensazioni che l’autore vuole veicolare: in Inverno in particolare, il freddo (non solo climatico), il senso di sospensione, l’incomunicabilità.

Nella recitazione delle due attrici, tuttavia, di sfumature che veicolino queste sensazioni ce ne sono ben poche. Le indecisioni dei personaggi non ci parlano di nulla: così la donna che guardando la ragazza ubriaca, dopo una serie di indecisioni rinuncia alla riunione di lavoro per portarla in albergo con sé, non esprime stupore ne’ desiderio: il suo sguardo è vago e confuso e certamente non anticipa l’atmosfera sensuale della danza con cui in seguito la spoglia.

I momenti di azione che intervallano le parti parlate sono sicuramente molto più suggestivi: d’impatto è ad esempio il casquè che la donna fa fare alla ragazza nella scena della svestizione con sottofondo Jazz e altrettanto forte, durante la sua attesa per rivedere la ragazza, il momento (ancora con sottofondo musicale) in cui inginocchiata davanti al pubblico, scioglie i rossi e ricci capelli e inizia a truccarsi spargendo cipria attorno a sé. La magia di questi brevi intervalli è tuttavia cancellata dai dialoghi.

Certo, non tutti gli interventi più “pantomimici” risultano suggestivi: nella scena che precede la fine del dramma, in cui la serie di allusioni che riprendono la danza iniziale della ragazza sottolineano la relazione fisica consumata fra le due, la sensazione prodotta è quella della perplessità: la materialità e l’indolenza di un’azione del genere, paiono stridere con l’energia delle azioni precedenti.

Sembra quasi che l’urgenza dello spettacolo sia raccontare una trama: elemento che in drammaturgie come quella di Fosse passa quasi in secondo piano, rispetto al senso che si vuole trasmettere.

Anche rispetto alla trama ci sarebbe qualche riserva: quella che è già una storia al limite della verosimiglianza quando i protagonisti sono un uomo ed una prostituta, risulta ulteriormente forzata nella credibilità e nei ritmi se i personaggi principali si trasformano in una ragazzina ed una donna di mezza età sposata con figli, che nell’arco di pochi giorni decide di lasciare casa e lavoro per fare coming out e scappare con la nuova conoscente.

Grande è l’attenzione riservata al piano estetico: le atmosfere delle luci soffuse sono piacevoli, per quanto rimanga misteriosa la funzione drammaturgica della luce rossa (utilizzata nel corso di una chiamata del marito a cui la donna non risponde) e della luce blu nel finale.

Frequenti i cambi di abbigliamento in particolare per la ragazza: molto eccentrico il suo modo di presentarsi verso il concludersi della vicenda, quando indossa scarpe rosse decolté con tacco 12, collant bianchi (senza alcuna gonna) ed un top rosso totalmente paillettato. Viene da chiedersi se non sia una prostituta come nella storia originale. In ogni caso la scelta risulta interessante per una pièce che si svolge in Inverno (c’è da dire che gli improvvisi e incontrollati colpi di tosse dell’attrice hanno però aggiunto, se non altro, un tocco di realismo di stagione).

In autori come Fosse, la cui forza risiede nel non detto, nelle sospensioni e nelle sensazioni che attraverso la drammaturgia si annidano nello spettatore, le essenziali indicazioni consegnate nelle mani dei registi, possono essere uno strumento in grado di valorizzarne la bravura, ma capaci al contempo di illuminare scelte deboli ed e’ noto quanta cautela occorra quando si gioca con il ghiaccio: perchè il ghiaccio brucia.