FRANCESCA DI FAZIO | Due giovani artisti internazionali hanno riempito le sale del teatro Lenz con la presentazione in prima assoluta in Italia delle loro performances, all’interno della ventesima edizione del Festival Natura Dèi Teatri diretto da Maria Federica Maestri e Francesco Pititto di Lenz Fondazione. Si tratta dell’inglese Tim Spooner e della giapponese, ma residente in Germania, Naoko Tanaka. Sul tema di quest’anno proposto dal Festival Natura Dèi Teatri, Materia del Tempo – Porte, prendono vita le loro performances, seguendo come un’unica, istintiva direzione: quella del varco verso l’interno, dell’oltre la porta verso universi interiori.

Naoko Tanaka – Unverinnerlicht

E’ un gioco di parole il titolo di questa performance, di difficile traduzione dal tedesco all’italiano, che vuole alludere alla creazione di un “mondo esterno interiore”. È una performance che racchiude con rigore orientale il senso di perdita irrimediabile della dimensione infantile. Lo spazio scenico è delimitato da una tela semicircolare che pende da una grande ruota di legno appesa al soffitto. Sullo sfondo è la tela bianca semicircolare, nello spazio antistante vi sono piccole sculture realizzate dall’artista (laureatasi alla Tokyo National University of Fine Arts), raffiguranti delle sedie. Sono le tipiche sedie dei banchi di scuola, di legno chiaro con le gambe in metallo. Piccole sedie, sedie in miniatura, sedie sbilenche, dalle gambe storte, sedie sfondate, squarciate, sedie intrappolate in ricurve assi di legno. Costruire delle sedie distorte equivale a costruire l’inutile. Eppure non è inutile il gioco in cui vuole condurci Naoko Tanaka, un gioco che “invita gli spettatori a cercare di prevedere il presente come fosse memoria, di smarrirsi nel mare di immagini perdute”.

unverinnerlicht - Naoko Tanaka
Unverinnerlicht – Naoko Tanaka

Inizialmente si accendono in alternanza luci sulle sculture: in un non-luogo dove non succede niente sono i suoni e le luci a dare movimento alla scena. Poi entra in scena Naoko Tanaka e la tela bianca comincia a girare: da sfondo che era, viene a coprire per qualche istante tutta la scena. La vista degli oggetti ci è preclusa, ma ce ne viene offerta un’altra: quella delle loro ombre. Muovendo piccoli fari intorno alle sculture, Naoko proietta sulla tela le ombre dei loro particolari. Tutto diviene mutevole e fuggente, lei si trascina da una scultura all’altra, da una sedia infranta all’altra, come una bambina ormai troppo grande, perduta nella sua casa di bambole in cui non sa più orientarsi.

Di grande impatto il momento in cui lentamente lei si avvicina a una sedia-scultura posta vicino al pubblico. È l’unica sedia a non essere storta o rotta, la osserva, tutto intorno è buio, c’è solo un faro ad illuminare lei e quella piccola sedia, la guarda continuando ad avvicinarsi finché le gambe della sedia non cedono, non reggono più, come se le giunture cedessero sotto il peso del tempo e del ricordo. La sedia si accascia sul pavimento.

Ci sono alcune sedie manovrate come delle marionette, come ad esempio la sedia che per ultima sarà illuminata: una sedia che faticosamente da terra cerca di rizzarsi in piedi, tentativo su tentativo, le gambe sembrano non reggere, lo schienale non riesce ad alzarsi…eppure, alla fine, è dritta, tutta dritta. Per un solo istante. Poi, lo schienale si ricurva verso il sedile, in un richiudersi di speranze. Buio.

Una performance dal ritmo lento e cadenzato, coinvolgente e chiara nel suo essere evocativa.
Una performance che ricorda da vicino il teatro di figura, per la centralità che oggetti, luci ed ombre hanno rispetto alla persona vivente, che è quasi cosa tra le cose, ombra muta, presenza liminare.

Tim Spooner – Unfinished Interior

Una grande sala sostanzialmente spoglia. Curiosi trabiccoli di metallo disposti qua e là, qualche tela colorata appesa al soffitto, una parete ricoperta da un leggero telo di plastica, piccoli oggetti disseminati per terra: bandierine, disegni, piccole bolle che magicamente non si infrangono nel toccare terra. Come già in “The Telescope” (http://paneacquaculture.net/2014/12/16/tim-spooner-a-parma-il-microcosmo-materico-performativo/), Tim spooner utilizza la materia, le reazioni chimiche e magnetiche, le invenzioni della scienza per raccontare in teatro l’esistenza di altri mondi, in un insolito ma riuscito connubio.

Dal fondo della sala vediamo apparire la piccola luce rossa di un laser. Poi una luce bianca. Man mano che la luce si avvicina vediamo apparire anche il performer: si muove rasentando i muri, quasi a non potersi staccare da essi, e su di essi proietta la luce bianca, che è attaccata dietro la sua nuca. Vestito di una sottile tuta argentea, il capo circondato di luce, risulta simile a un marziano o a un astronauta che ancora non ha indossato il casco.

È in corso la costruzione di una stanza” si legge nel foglio di sala. Ma è una costruzione del tutto labile e immaginaria: a piccoli intervalli l’esile ragazzo indica col laser alcune parti della stanza che verrà a crearsi e, in un inglese reso più difficile dalla distorsione elettronica della voce, svela dove si troveranno il letto, l’armadio e così via.

Tuttavia, sfugge il senso di creazione di un interno che la performance vorrebbe trasmettere, mentre colpisce il modo in cui riesce a dar vita a diverse reazioni magnetiche pur rimanendo a distanza dagli oggetti che metterà in movimento: una delle tele appese comincerà a muoversi, un tavolino dalle gambe in metallo comincerà a tremare, alti e sottili tubi di metallo crolleranno a terra a un solo alzarsi del braccio.

Lontano da velleità illusionistiche, Tim Spooner porta sul palcoscenico il proprio interesse per la matericità del mondo, le sostanze e le loro reazioni, come un bambino che vuol provarsi scienziato, o come un uomo che vorrebbe muovere l’intero mondo alzando un solo dito.

http://www.naokotanaka.de/english/about.e.html

http://www.tspooner.co.uk/

2015